L'intervista
La nuova vita di Mps sotto lo scrutinio dei fondi internazionali
"La governance per ora non cambia poiché il Mef resta primo azionista. Ora dovrà dimostrare agli azionisti se il suo modello di business è profittevole" dice al Foglio Mario Comana, ordinario di economia degli intermediari finanziari alla Luiss
Con il Mef che non avrà più la maggioranza assoluta e ben 150 fondi d’investimento che entrano nel capitale sociale, il Montepaschi sta per essere proiettato in una nuova era. “La governance per ora non cambia poiché il Mef resta primo azionista – dice al Foglio Mario Comana, ordinario di economia degli intermediari finanziari alla Luiss – ma si amplia moltissimo la platea degli stakeholder attiva”. Tra gli investitori che hanno aderito all’offerta si fanno i nomi dei più importanti asset manager del mondo: Wellington, Vanguard, Blackrock. Sono quelli che passano al setaccio i conti, che aspettano di staccare le cedole, che non perdonano quando una trimestrale va male, che applaudono quando si tagliano i costi, anche del personale. Che impatto avrà sulla banca senese? “Mps sarà sempre di più esposta allo scrutinio del mercato e dovrà soddisfare le attese di redditività anche quando non ci sarà più la leva dei tassi a dare una mano alla generazione di profitti”, prosegue Comana. Non che finora il mercato non abbia avuto un ruolo. Mps è quotata, ma dalla sua nazionalizzazione nel 2016 buona parte del capitale flottante si trova nelle mani di piccoli investitori del territorio, che hanno atteso di recuperare le perdite accumulate. A credere, però, che Mps ce la possa fare sono in primis le agenzie di rating, compresa Moody’s che per la seconda volta da inizio anno ha alzato la sua valutazione riconoscendo i progressi fatti. “Il bello viene ora perché Mps dovrà dimostrare che il suo modello di business, orientato alle famiglie e alle pmi, è profittevole e in grado di attrarre operatori bancari per una fusione completando l’iter di uscita dello stato”, prosegue l’economista.
Da Cenerentola a quasi cigno, grazie a un allineamento di fattori che stanno spianando la strada della privatizzazione consentendo al governo Meloni di mantenere gli impegni con l’Unione europea. Dall’aumento di capitale mandato in porto dall’ad Luigi Lovaglio al ritorno alla redditività (oltre 1 miliardo di utili quest’anno), dalla riduzione del rischio di contenziosi legali, che finora ha impegnato grandi riserve di capitale a copertura, al rafforzamento patrimoniale grazie, paradossalmente, alla tassa non pagata sugli extra profitti (messi a riserva 312 milioni di euro). Tutto questo ha giocato a favore del collocamento lampo del 25 per cento (con la domanda risultata cinque volte superiore all’offerta) e potrebbe avere gettato le basi per la vendita di un altro 10 per cento che farebbe scendere il Mef sotto la soglia del 30 per cento. “L’esito così favorevole dell’operazione dovrebbe spingere a qualche riflessione – osserva l’esperto – È possibile che un modello di banca tradizionale come quello di Mps non sia superato dall’era digitale, ma riscuota ancora un certo credito presso gli investitori internazionali che stanno rivalutando il sistema bancario italiano diventato più solido e capace di generare rendimenti. Altro discorso è se questo modello sia appetibile per un’operazione di consolidamento domestico. Voglio dire che nutro qualche dubbio sul fatto che in Italia esistano istituti di credito che puntano a crescere nel business tradizionale invece che in quello tecnologico. Per questa ragione mi pare più probabile che una fusione possa avvenire con un soggetto estero che intenda crescere nel nostro paese”.
Eppure, i report degli analisti continuano a indicare Unicredit e Banco Bpm come i soggetti più papabili per un’aggregazione. Entrambe le banche si mostrano disinteressate, ma le cose potrebbero cambiare se la buona sorte dovesse continuare a baciare in fronte la banca senese. Un’analisi di Mediobanca, per esempio, fa notare che, dopo le recenti sentenze Vigni-Mussari, che hanno consentito la riduzione del peso del contenzioso sulle prospettive della banca, sono attese novità positive dalle sentenze d’appello per Viola e Profumo previste per il 27 novembre. Un esito positivo consentirebbe, calcola Mediobanca, il rilascio di 200 milioni su 800 accantonati e il rilascio anche di una parte della copertura su richieste extra-giudiziali per 1,8 miliardi. Chissà che chi finora ha guardato Mps con diffidenza alla fine non ci faccia un pensiero.