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il via libera dell'Europa

Nasce il Pnrr di Meloni: un successo per il governo. Ma ora gli alibi sono finiti

Giorgio Santilli

La Commissione europea accetta la revisione del Piano, con 145 misure modificate o nuove, sette riforme in più, il capitolo aggiuntivo RePower Eu che vale 11,2 miliardi. Il ministro Fitto può festeggiare. Resta il nodo dei progetti esclusi

È nato il nuovo Pnrr Meloni-Fitto, con 145 misure modificate o nuove, sette riforme in più, il capitolo aggiuntivo RePower Eu che vale 11,2 miliardi con cinque riforme (in prevalenza semplificazioni per velocizzare l’installazione di impianti) e 12 nuove linee di investimenti. La Commissione Ue ha dato il primo via libera alla proposta di revisione generale presentata dall’Italia il 7 agosto a Bruxelles, ora manca soltanto il voto finale del Consiglio europeo che in genere non entra nei dettagli e ratifica la decisione dell’esecutivo (sempre che non si mettano di mezzo irritazioni sul Patto di stabilità o sul Mes). Grande soddisfazione della premier che ha il merito di aver sempre coperto politicamente il suo ministro: ieri ha detto di essere “fiera del lavoro svolto” e ha ringraziato la Commissione che si è mostrata “rigida in alcuni frangenti, ma sempre aperta a modifiche”.


Quanto a Fitto, si è goduto una vittoria tutta personale, contro i critici interni ed esterni, ringraziando la Commissione per la collaborazione e smorzando le polemiche che lo hanno accompagnato in questi mesi. Fitto ha mostrato di essere perfettamente consapevole che ormai non ci sono più alibi sui ritardi del Piano. Da oggi il “padre” del Pnrr non è più Mario Draghi, ma diventa lui e lui porterà la croce di attuarlo nel rispetto dei tempi che restano rigidi. A tal punto se ne è mostrato consapevole che già ieri ha annunciato “un provvedimento legislativo che ci aiuti a mettere a terra le risorse”, chiedendo proposte anche agli operatori economici chiamati in molti casi ad attuarle. La fatica comincia ora.

 

La trattativa di Fitto con la Commissione è durata, in realtà, tredici mesi e poco tolgono le continue rimodulazioni della proposta – non senza una certa nevrosi da una parte e dall’altra – al successo finale. All’Italia interessava eliminare progetti divenuti impraticabili (come la circonvallazione di Trento) e rimandare quanti più obiettivi possibili delle rate ravvicinate (quarta ancora sotto giudizio e quinta da presentare a fine anno). Fitto  ha ricordato che i progetti esclusi erano per un miliardo relativi a strade che sarebbero state comunque cassate dalla Commissione e per 5 miliardi microlavori sotto i 100 mila euro. Alla Commissione interessava, dal canto suo, poter presentare l’operazione come un rafforzamento degli obiettivi strategici della transizione verde (la quota di spesa aumenta dal 37,5 al 39,5 per cento, sottolinea Bruxelles) e della transizione digitale (da 25,1 a 25,6 per cento). Piena promozione per le proposte italiane e pieno sostegno alle ragioni “oggettive” che hanno portato alla modifica.

La proposta approvata andrà esaminata attentamente per capire tutti gli spostamenti di flussi finanziari tra progetti, target e milestone. “La gestione del Pnrr resterà la priorità del paese”, ha commentato il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti che ha preferito glissare  sui rischi che una parte del conto per l’accordo interno ed esterno lo paghi lui. Anche alle parti sociali ricevute a Bruxelles Fitto ha infatti ribadito che i progetti che usciranno dal Pnrr saranno finanziati con altre risorse che – in attesa che si trovino le giuste “connessioni” con i fondi strutturali – non possono che essere  nazionali. Difficilmente sarà il Fondo sviluppo e coesione che ha troppi vincoli territoriali (sud) e poca cassa. C’è il rischio quindi che sia la legge di Bilancio o un altro fondo  ad hoc a dover appostare almeno un primo fondo che tranquillizzi gli animi dei tanti esclusi. I suoi collaboratori hanno registrato qualche malumore.

Chi si gode la rimodulazione, nonostante il prezzo pagato a Bruxelles di piegare la testa a una maggiore dose di concorrenza nel Codice degli appalti, è il ministro delle Infrastrutture, Matteo Salvini, che sulla quantità di risorse disponibili ha tenuto duro, ha salvato il Terzo valico e  pure incassato una maggiorazione di fondi. Nel  braccio di ferro il ministro ci sa fare. Ha perso la circonvallazione di Trento (930 milioni), ma ha incassato fondi aggiuntivi per il Terzo valico (290 milioni), la Brescia-Padova (800 milioni), l’acquisto dei treni ecologici (1,1 miliardi) e il piano idrico (1 miliardo). Il sacrificio di dover firmare una circolare sgraditissima, in fondo, è stato ben ripagato.

 

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