Non rinnegare, non rimuovere. Meloni e la terza Fiuggi sull'euro
È poco credibile che la premier non ricordi di essere stata a favore dell'Eurexit: l'uscita dall'euro è stata per dieci anni un pilastro di FdI. Invece di negare la propria storia, Meloni spieghi l'evoluzione europeista della destra in un congresso
Chi sperava nella spallata dall’esterno resterà deluso. In un mese molto delicato, il governo Meloni ha superato positivamente diversi esami fuori dai confini nazionali. Prima lo scrutinio delle agenzie di rating, che hanno confermato il giudizio sull’Italia quando in tanti temevano un downgrading, e poi quello della Commissione europea che ha approvato la legge di Bilancio (con alcune riserve, ma in questo caso l’Italia è in ampia compagnia) e ieri ha dato il via libera alla revisione del Pnrr. Il governo ha dimostrato, in sostanza, di avere una certa affidabilità sia agli occhi dell’Europa sia agli occhi dei mercati.
Alla base di questi risultati c’è un cambiamento di atteggiamento da parte di Giorgia Meloni rispetto alle istituzioni europee e ai mercati finanziari, figlio probabilmente di una riflessione sui fallimenti dei governi che hanno intrapreso una strada opposta e di scontro frontale (si pensi al governo Conte I o a quello di Liz Truss in Regno Unito). Insomma, a differenza della retorica della premier, è l’incoerenza che l’ha premiata. E Meloni farebbe bene, se non a rivendicare la sua incoerenza, quantomeno a spiegarla al proprio elettorato e agli italiani. In questo senso, è stato illuminante un passaggio del question time al Senato di giovedì durante il quale Matteo Renzi ha ricordato a Giorgia Meloni di quando lei sosteneva di voler dire “alla sorda Germania” che l’Italia “vuole uscire dall’euro”. la premier ha risposto con un: “Non mi ricordo che ho detto che bisognava uscire dall’euro...”.
È difficile immaginare una così grave e preoccupante perdita di memoria della presidente del Consiglio. Perché l’uscita dall’euro è stato uno dei pilastri dei Fratelli d’Italia degli ultimi dieci anni, a partire dal primo congresso del partito nel 2014, la seconda Fiuggi che ha sancito la rinascita della destra. Meloni lanciò in quell’occasione “le primarie delle idee” e il primo quesito era proprio sull’uscita dall’euro, che passò con il 72 per cento dei consensi dei militanti.
Non a caso l’uscita dall’euro diventò il primo punto del programma elettorale di FdI per le europee del 2014: “Fratelli d’Italia-Alleanza Nazionale si impegna a... spingere la Commissione europea a procedere allo scioglimento concordato e controllato dell’Eurozona” recitava il programma, e nel caso le istituzioni europee non avessero voluto perseguire quella strada “l’Italia deve avviare una procedura di recesso unilaterale dall’Eurozona”. Il secondo punto del programma era l’uscita dal Mes (“liberare l’Italia dall’obbligo di contribuire al Meccanismo europeo di stabilità”), ovvero il trattato che Meloni si appresta a far ratificare dalla sua maggioranza. Queste posizioni sono poi state confermate tre anni dopo, nel secondo congresso di FdI, nelle cosiddette “Tesi di Trieste”, in cui si riproponeva la prospettiva di un “abbandono concordato e ordinato dell’euro in accordo con gli altri stati europei”.
È insomma poco credibile che Meloni, sempre pronta a rivendicare la sua granitica coerenza e la profondità delle sue radici, abbia rimosso pagine così importanti della sua storia politica. L’incoerenza di per sé non è negativa, anzi. In politica cambiare idea è naturale e perfino doveroso, in particolare quando si hanno responsabilità di governo. Solo gli stupidi non cambiano idea, si dice. E l’affermazione è particolarmente vera quando si sostenevano idee sciocche e deleterie come l’uscita dall’euro. Il ruolo però di un leader dovrebbe essere quello di motivare l’evoluzione delle proprie posizioni e di farle digerire alla propria comunità politica, magari attraverso gli stessi strumenti attraverso cui quelle idee sono state elaborate.
Servirebbe, insomma, un nuovo congresso: una terza Fiuggi europeista, in cui Meloni spieghi i pregi dell’euro, del Mes riformato e del nuovo Patto di stabilità che si appresta ad approvare. “Non rinnegare, non restaurare”, diceva Giorgio Almirante a proposito della posizione del Msi rispetto al fascismo. “Non rinnegare, non rimuovere”, potrebbe dire oggi Giorgia Meloni a proposito dell’antieuropeismo di FdI. Cambiare idea prendendo atto della realtà è segno di valore, soprattutto per un leader conservatore. Farlo negando la propria storia è segno di pavidità, soprattutto per un leader conservatore.