Un film già visto
Il crac del gruppo Signa è un bel guaio anche per Unicredit
Un possibile fallimento del colosso immobiliare austriaco potrebbe aumentare le tensioni nel settore bancario nord europeo, soprattutto in Germania
Le banche non sempre sono beneficiate dal caro tassi. Il loro sostegno finanziario al settore immobiliare, per esempio, può diventare un problema quando il costo del denaro sale tanto da piegare un grande gruppo come l’austriaco Signa, attivo su larga scala anche in Germania, che attraversa una grave crisi di liquidità. Crisi che sta facendo suonare i campanelli d’allarme nell’Eurozona poiché Signa è un colosso dello sviluppo immobiliare con 27 miliardi di asset e i suoi creditori, tra banche, assicurazioni e fondi pensione, sono almeno una decina. Tra questi, c’è anche c’è l’italiana Unicredit, troppo liquida e patrimonializzata per correre davvero dei rischi, anche se la “grana” si sta facendo sentire ai piani alti di Gae Aulenti ora che l’unità tedesca di Signa ha presentato istanza di fallimento al tribunale di Berlino Charlottenburg e che si rincorrono voci di bancarotta di altre unità del gruppo. Secondo indiscrezioni di Reuters, Unicredit Austria, insieme con Raiffeisen, il terzo gruppo bancario svizzero, avrebbero nei confronti di Signa un’esposizione complessiva fino a 1,5 miliardi di euro. Va precisato che queste cifre non sono state confermate dalla banca guidata da Andrea Orcel, la quale, questo sì che trapela, avrebbe finanziato non la holding Signa ma singoli progetti immobiliari disseminati tra primarie città del nord Europa, come Berlino, Francoforte e Monaco, e, quindi, con gli asset a fare da garanzia ai prestiti.
Come spiegano in sintesi gli analisti di Equita, se un eventuale fallimento di Signa è “assorbibile” da Unicredit senza avere impatti sui suoi obiettivi e sulle politiche di remunerazione per gli azionisti, “bisogna riconoscere come un evento di questo tipo potrebbe aumentare le tensioni sul settore bancario in generale”. Prematuro dire se Signa può davvero trasformarsi nel più grande crac immobiliare europeo dalla crisi finanziaria del 2008, anche perché il settore del credito è molto più solido rispetto ad allora, però una cosa è certa: le banche coinvolte sono quasi tutte nord europee, soprattutto tedesche, tra le quali figurano nomi importanti quali Bayerische Landesbank, Dz Bank, Nord Lb, anche se quasi nessuna ha dichiarato a quanto ammonta l’esposizione finanziaria nei confronti di Signa. Lo ha fatto solo la svizzera Julius Baer (600 milioni), il cui titolo ieri è stato declassato a causa degli accantonamenti che sarà obbligata a fare. Erano mesi che si parlava dell’impatto particolarmente negativo dei tassi alti sul comparto immobiliare europeo, ma nessuno poteva immaginare che il più grande conglomerato privato austriaco – fondato dal rampante René Benko, imprenditore tirolese di 46 anni amante dell’Italia (villa sul Lago di Garda) – arrivasse a non riuscire più a onorare le scadenze. Si parla di almeno 5-600 milioni, che Benko avrebbe cercato di racimolare bussando alla porta di investitori internazionali del calibro del fondo Elliot, che, però, si sarebbe mostrato scettico come anche gli altri. E’ così che adesso si teme un effetto domino con il coinvolgimento delle altre filiali del gruppo (tra le quali ce n’è una che opera in Alto Adige). Del resto, sebbene il meccanismo che è all’origine dell’insolvenza del gruppo immobiliare sia ben diverso da quello dei mutui subprime, l’effetto è abbastanza simile per la banca creditrice: in fasi di rallentamento economico (come sta succedendo nell’Eurozona) i valori di mercato degli immobili calano a fronte dei costi di finanziamento che s’impennano per via dei tassi. A un certo punto, se il creditore non riesce più a onorare i suoi impegni va in default e il prestito diventa una sofferenza imponendo svalutazioni di bilancio. Un film già visto.