l'intervento
"L'inflazione in calo è una buona notizia. Ora ridurre il debito". Il discorso di Panetta
Il governatore della Banca d'Italia ha tenuto quest'oggi alla Fiera di Roma il suo primo vero discorso dall'inizio del mandato. Ecco il testo integrale
Pubblichiamo di seguito l'intervento di Fabio Panetta, governatore della Banca d’Italia, al convegno "Il Gruppo Bancario Cooperativo: le opportunità e le sfide di un nuovo modello bancario", tenutosi alla Fiera di Roma il 30 novembre 2023
Il sistema finanziario rappresenta un’infrastruttura essenziale di ogni moderna economia avanzata. Esso consente di finanziare gli investimenti e la crescita, ponendo la ricchezza di oggi al servizio del benessere di domani. Non tutti i progetti possono avere successo, e spetta agli intermediari e ai mercati selezionare, diversificare e gestire i rischi al fine di indirizzare le risorse verso le iniziative di migliore qualità. Il ruolo delle banche è particolarmente rilevante nella fase attuale, caratterizzata da un elevato grado di incertezza e da cambiamenti tecnologici, climatici e geopolitici che stanno influenzando l’attività produttiva e il commercio a livello mondiale. In questo difficile momento di transizione, un’efficiente allocazione del credito da parte degli intermediari è essenziale per accompagnare le necessarie trasformazioni, la digitalizzazione e la decarbonizzazione delle imprese italiane. Soprattutto quelle piccole e medie, che traggono dal credito gran parte dei finanziamenti esterni. Gli stretti rapporti con la clientela, la conoscenza dell’economia locale conferiscono alle banche di credito cooperativo (BCC) un vantaggio competitivo nel finanziamento delle imprese di minori dimensioni . La riforma che cinque anni fa ha istituito i gruppi cooperativi non ha intaccato questo vantaggio: attualmente le BCC erogano un quinto dei crediti alle piccole imprese, a fronte di una quota sul credito complessivo di gran lunga inferiore.
Nel suo insieme, il sistema bancario italiano gode di una soddisfacente condizione reddituale e patrimoniale. Anche grazie alle politiche pubbliche attuate in anni recenti a livello sia europeo sia nazionale, esso ha superato senza grandi difficoltà le conseguenze economiche della pandemia e dell’invasione dell’Ucraina. I prestiti deteriorati in rapporto a quelli complessivi sono in calo continuo dal picco del 2015 . La redditività del capitale è salita a livelli che non si registravano da prima della crisi finanziaria globale, sulla spinta dei ricavi da interessi e del calo delle rettifiche sui crediti . Il coefficiente relativo al patrimonio di migliore qualità ha raggiunto il massimo storico del 15,6 per cento. La positiva situazione delle banche conferisce stabilità all’intero sistema finanziario italiano. È un punto di forza per l’economia nel suo complesso, come hanno espressamente sottolineato primarie agenzie di rating internazionali nei giudizi formulati di recente sull’Italia. Con l’indebolimento della congiuntura economica in Europa e in Italia, alcuni fattori che hanno finora rafforzato le banche potrebbero venire meno nei prossimi mesi. Secondo nostre proiezioni, l’effetto congiunto del rallentamento ciclico e degli alti tassi d’interesse potrebbe provocare un’inversione della dinamica dei crediti deteriorati. Il livello relativamente elevato dei tassi ufficiali contribuirebbe a innalzare il costo della raccolta e a comprimere i ricavi da interessi. Le condizioni di liquidità diverranno meno favorevoli per effetto della contrazione del bilancio dell’Eurosistema. Occorre operare fin d’ora per mitigare questi rischi, adeguando tempestivamente le rettifiche di valore all’evoluzione della qualità del credito. I piani di finanziamento vanno adattati alla minore offerta di liquidità e prontamente attuati. Nelle scorse settimane abbiamo sollecitato in tal senso le banche sotto la nostra diretta supervisione. Il sistema bancario italiano è in grado di gestire sviluppi sfavorevoli. Ci si può attendere che nel prossimo biennio la sua redditività si riduca, ma rimanga ampiamente positiva.
1. La politica monetaria e la disinflazione
Nell’area dell’euro le condizioni di finanziamento sono divenute restrittive, con ripercussioni che si stanno estendendo dal comparto manifatturiero a quello dei servizi. Il forte aumento dell’occupazione, che sin qui ha fornito sostegno alla domanda, si sta attenuando . L’attività produttiva è lievemente diminuita nel terzo trimestre di quest’anno e rimarrà debole nel quarto. I rischi per la crescita economica sono orientati al ribasso, anche a causa dell’incertezza generata dalle acute tensioni geopolitiche.
L’inflazione è in forte calo, dopo il picco raggiunto lo scorso anno. Nell’area dell’euro quella sui dodici mesi relativa all’intero paniere di beni e servizi è scesa al 2,9 per cento in ottobre. Quella “di fondo” – che esclude i prodotti alimentari e dell’energia – è diminuita anch’essa, al 4,2 per cento. La dinamica dei prezzi al consumo misurata su base trimestrale – che sfronda i dati dagli andamenti lontani nel tempo e rappresenta più accuratamente le tendenze in atto – conferma che la disinflazione è ben avviata; in base a questo indicatore l’inflazione di fondo era in ottobre al 2,6 per cento. Nei prossimi mesi potremmo assistere a un temporaneo aumento dell’inflazione dovuto a effetti di base, soprattutto per i prezzi dell’energia . Questo andamento non riflette una ripresa delle pressioni inflazionistiche: al di là di tali effetti di natura meramente statistica, nel 2024 dovrebbe proseguire la discesa dell’inflazione, in particolare quella di fondo. La restrizione monetaria attuata dalla Banca centrale europea (BCE) è stata necessaria. Un’inflazione elevata distorce le decisioni di consumo, risparmio e investimento e provoca effetti redistributivi occulti e iniqui. Entrambi questi fattori ostacolano la crescita e riducono il benessere dei cittadini, soprattutto quelli con basso reddito. La stabilità dei prezzi contribuisce inoltre alla sostenibilità delle finanze pubbliche, soprattutto nelle economie con alto debito. Nel decennio che ha preceduto la pandemia, la bassa inflazione ha compresso i premi per il rischio sui rendimenti dei titoli pubblici, permettendo agli emittenti sovrani europei di finanziarsi a costi contenuti pur in presenza di un forte, progressivo aumento del rapporto tra debito e Pil. Questo andamento si è interrotto negli anni più recenti, quando l’inflazione ha provocato un aumento dei premi per il rischio. In base alle proiezioni diffuse dalla BCE in settembre e ai dati divenuti successivamente disponibili, l’attuale livello dei tassi sarebbe sufficiente a riportare l’inflazione in linea con l’obiettivo del 2 per cento nel medio termine. Le condizioni monetarie dovranno rimanere restrittive per il tempo necessario a consolidare la disinflazione. La durata di questa fase dipenderà dall’evoluzione delle variabili macroeconomiche; potrebbe essere più breve qualora la persistente debolezza dell’attività produttiva accelerasse il calo dell’inflazione. Occorre evitare inutili danni per l’attività economica e rischi per la stabilità finanziaria, che finirebbero oltretutto per mettere a rischio la stessa stabilità dei prezzi. A tale riguardo, la trasmissione degli impulsi monetari alle condizioni di finanziamento si sta rivelando più forte di quanto era stato previsto. Il costo dei prestiti bancari è considerevolmente aumentato. La dinamica della moneta e del credito è rapidamente scesa su valori simili o inferiori a quelli registrati in seguito alla crisi finanziaria e a quella dei debiti sovrani nell’area dell’euro.
Inoltre la stretta monetaria ha sin qui prodotto solo parte dei suoi effetti, e in base all’esperienza passata continuerebbe a frenare la domanda anche in futuro. Ad esempio, nei prossimi mesi verrà a scadenza un ammontare cospicuo di debiti a medio e a lungo termine e a tasso fisso contratti da famiglie e imprese nel periodo di bassa inflazione. I rinnovi avverranno a tassi maggiori, con effetti negativi su consumi e investimenti. L’attuale correzione monetaria differisce da quelle precedenti. Essa produce effetti non solo mediante la tradizionale manovra sui tassi ufficiali, ma anche attraverso una contrazione del bilancio dell’Eurosistema, che comporta un calo della liquidità in circolazione. Da un lato, la riduzione della consistenza dei titoli detenuti dalle banche centrali spingerà al rialzo i rendimenti delle attività finanziarie, con ulteriori effetti restrittivi. Dall’altro lato, la minore offerta di liquidità si ripercuoterà sulle condizioni del mercato creditizio. La flessione delle riserve bancarie accentuerà la concorrenza nel mercato dei depositi, provocando nuovi aumenti dei costi di finanziamento delle banche e possibili, ulteriori incrementi dei tassi sui mutui e sui prestiti alle imprese. L’evidenza empirica indica inoltre che una diminuzione delle riserve in eccesso delle banche comprime l’offerta di credito . A sua volta, la riduzione delle scorte liquide delle imprese renderà le scelte di investimento più sensibili al rialzo dei tassi. Per queste ragioni, è necessario procedere con cautela nel processo di normalizzazione del bilancio dell’Eurosistema. Dopo aver innalzato i tassi ufficiali a un livello che consentirà di riconquistare la stabilità dei prezzi, una brusca contrazione del bilancio dell’Eurosistema – dopo quella già rapida dei mesi scorsi – avrebbe effetti restrittivi sull’economia che non sarebbero giustificati dalle prospettive dell’inflazione.
2. Investimenti, innovazione e crescita in Italia
Dopo la ripresa registrata all’indomani della pandemia, l’economia italiana è in una fase di ristagno, come del resto quella europea. Secondo le previsioni disponibili, l’attività produttiva dovrebbe accelerare nei prossimi mesi; nel 2024 la crescita rimarrebbe inferiore all’1 per cento11. La priorità è ora scongiurare il rischio di tornare agli insoddisfacenti tassi di crescita degli ultimi due decenni, facendo leva sui segni di vitalità economica emersi sinora. Negli anni recenti la ripresa è stata trainata dall’espansione degli investimenti, che dalla fine del 2019 sono cresciuti di oltre il 20 per cento a fronte di un calo del 4 per il complesso dell’eurozona. È una novità importante, soprattutto se confrontata con gli anni successivi alla crisi finanziaria e a quella dei debiti sovrani. L’aumento degli investimenti non ha riguardato soltanto quelli in costruzioni, che dal 2021 sono stati alimentati da agevolazioni fiscali assai ampie. È significativo il contributo della spesa per macchinari e beni immateriali, che lo scorso anno in rapporto al PIL è tornata sui livelli medi dell’area dell’euro, colmando un ritardo che persisteva da tempo. La ripresa degli investimenti è un segno di fiducia sulle prospettive della nostra economia che va sostenuto e rafforzato indirizzando le risorse verso progetti in grado di innalzare il potenziale di sviluppo. Che l’Italia abbia un problema strutturale di crescita è noto, come note sono le cause del problema. Voglio tuttavia sottolineare il dato fondamentale: la nostra economia soffre da oltre due decenni della stagnazione della produttività del lavoro, a fronte di un aumento annuo dell’1 per cento nel resto dell’eurozona. Un tale andamento è spiegato principalmente dalla deludente dinamica della produttività totale dei fattori – ossia i guadagni di efficienza derivanti dalle nuove tecnologie, dai miglioramenti organizzativi, dall’innovazione di prodotto e dall’espansione delle imprese più efficienti. In assenza di correzioni, questi andamenti continueranno a condizionare lo sviluppo anche negli anni a venire. Il rilancio dell’economia italiana passa per un sentiero che va dagli investimenti alla produttività e quindi alla crescita. Date le prospettive demografiche, l’occupazione potrà dare un contributo all’attività economica tutt’al più nullo, anche negli scenari più favorevoli. La crescita dipenderà quindi dalla capacità di aumentare il prodotto per unità di lavoro.
A sua volta, l’insoddisfacente andamento della produttività totale dei fattori va letto alla luce dei cambiamenti avvenuti a partire dagli anni novanta del secolo scorso. Fu allora che l’economia italiana cominciò ad accumulare ritardi: dapprima nelle tecnologie dell’informazione e delle comunicazioni e successivamente in quelle digitali e nella dotazione di capitale immateriale, creando le condizioni per la bassa crescita. È quindi essenziale dare continuità alla ripresa dell’accumulazione di capitale che stiamo osservando. Ma anche questo non basterà in mancanza di un deciso innalzamento della capacità innovativa del sistema economico. Non dobbiamo ripetere l’esperienza degli anni 2000, quando una sostenuta dinamica degli investimenti si associò a magri guadagni di produttività. L’investimento in beni immateriali rimane di oltre un punto di PIL inferiore a quello dell’area euro. Pur non mancando imprese altamente innovative e internazionalizzate, è ancora ampia la quota di quelle in ritardo sia nella capacità di sviluppare prodotti e servizi avanzati sia nell’adozione delle nuove tecnologie, a partire da quelle digitali. Il divario tra le imprese alla frontiera tecnologica e produttiva e le altre è un problema comune a più paesi, ma è accentuato in Italia. Da noi i tassi di adozione della tecnologia e la produttività sono nettamente più elevati sia per le imprese grandi e operanti da più tempo rispetto a quelle piccole e giovani, sia per le aziende del Centro-Nord rispetto a quelle del Mezzogiorno.
È quindi necessario ampliare la platea delle aziende innovative e dinamiche, favorendo al tempo stesso la diffusione della tecnologia tra le altre imprese. È un obiettivo ambizioso, che oltre agli investimenti richiede la valorizzazione delle risorse umane. La tecnologia, le capacità gestionali e la qualità della forza lavoro sono elementi essenziali e tra loro complementari dell’innovazione e dello sviluppo. Su questi obiettivi occorre concentrare, con perseveranza, le politiche pubbliche e l’impegno dell’intero sistema produttivo e finanziario, che in questi anni difficili ha mostrato una resistenza e una capacità di recupero su cui costruire per dare vigore alla crescita dell’economia italiana.
3. Conclusioni
Nell’area dell’euro i rischi per la stabilità dei prezzi non sono svaniti, e richiedono vigilanza al fine di individuare e contrastare tempestivamente nuove possibili tensioni inflazionistiche. La disinflazione è ben avviata, e l’attuale livello dei tassi ufficiali è adeguato a riportare la dinamica dei prezzi all’obiettivo del 2 per cento. Ma la restrizione attuata dalla BCE continuerà a dispiegare i suoi effetti nei prossimi mesi; il suo impatto sulla domanda potrebbe risultare ben più forte di quanto era stato previsto, anche in relazione alla riduzione dell’offerta di liquidità. La normalizzazione del bilancio dell’Eurosistema deve evitare aggiustamenti bruschi, che non sarebbero giustificati dalle prospettive dell’inflazione e potrebbero risultare controproducenti per la crescita e la stessa stabilità dei prezzi. In Italia, l’obiettivo di innalzare la produttività richiede cambiamenti in più ambiti. Investire in innovazione è il punto di partenza dei necessari interventi, ma non riduce l’urgenza di altre misure. La produttività di un sistema dipende da molteplici fattori quali la qualificazione della forza lavoro, il funzionamento del sistema finanziario, il grado di concorrenza, le regole del mercato del lavoro, il funzionamento dell’amministrazione pubblica, in particolare nel campo della giustizia. Va soprattutto ridotto il debito pubblico in rapporto al prodotto. Un debito elevato sottrae risorse alle politiche anticicliche, agli interventi sociali e alle misure in favore dello sviluppo; accresce il costo dei finanziamenti per le imprese private, riducendone la competitività e l’incentivo a investire; rende la nostra economia e in ultima istanza l’intero paese vulnerabili ai movimenti erratici dei mercati finanziari. Il peso del debito opprime l’economia italiana da troppi anni. Dobbiamo liberarcene evitando gli errori del passato, agendo sia sul fronte della finanza pubblica sia su quello della crescita. Si tratta di un compito non facile, da affrontare tenendo presente l’esigenza di proseguire l’impegno per il rilancio dell’economia del Mezzogiorno. Questi temi sono ampiamente analizzati e discussi. La Banca d’Italia continuerà a farlo, come da sua tradizione. Io stesso tornerò su di essi con valutazioni approfondite.