L'analisi

La Grande transizione sta mettendo sotto stress l'automotive: una bussola per orientarsi

Stefano Cingolani

Josef Nierling, amministratore delegato di Porsche Consulting per l'Italia, spiega perché il mercato delle auto non solo è stressato, ma "iperstressato" e che in questa situazione c'è il rischio è che si perda la preda e ci si smarrisca

Gli imprenditori hanno bisogno di “una spinta gentile” per affrontare la Grande transizione. E più degli altri quelli che lavorano nell’ampio comparto automobilistico italiano. Tre su quattro hanno avviato il cambiamento, però solo uno su due riesce ad avere successo. A soffrire in modo particolare sono le imprese dell’Automotive o della mobilità in genere, il 64 per cento di loro fallisce il passaggio dal vecchio al nuovo, subito dopo vengono i servizi (59 per cento) che in Italia sono arrivati più tardi all’appuntamento con la digitalizzazione, seguono i beni di consumo con il 52 per cento. E così torna attuale “Nudge, la spinta gentile”. Il libro di Richard Thaler e Cass Sunstein è stato pubblicato dieci anni fa dalla Yale University Press, ma oggi è diventato un punto di riferimento. Il richiamo emerge evidente leggendo la ricerca della Porsche Consulting (la società di consulenza che fa capo alla casa madre) su come le aziende italiane, dal vertice alla base, stanno gestendo la transizione e su come si comportano in parallelo quelle tedesche. 

L’indagine condotta su un mix di imprese, grandi, piccole e medie, mostra che il 79 per cento delle trasformazioni non riesce a causa di obiettivi non definiti e una governance centralizzata, senza deleghe chiare, mentre l’82 per cento delle storie di successo ha come protagonista un amministratore delegato che ha saputo motivare i suoi collaboratori. La forbice tra grandi e piccole aziende diventa più ampia se si guarda alle loro priorità. Per le prime prevalgono la digitalizzazione e la sostenibilità, per le altre il focus è su efficienza e crescita. L’82 per cento delle piccole e medie aziende se la prende con la carenza di leadership. Qui è più evidente la mancanza di manager, dirigenti, quadri ben preparati. Nelle maggiori imprese, invece, il freno non viene tirato dall’alto, ma dal basso.

La “bussola” della Porsche Consulting serve a calcolare anno dopo anno la rotta seguita così come l’orientamento futuro. E mostra chiaramente che l’intero sistema delle imprese è sotto stress, anzi è “iperstressato” spiega al Foglio Josef Nierling, amministratore delegato per l’Italia. Il rischio è che si perda la presa e ci si smarrisca. Il modo migliore è ispirare fiducia e sicurezza. Un tempo i manager avevano l’obiettivo di creare un senso di urgenza, oggi siamo  in emergenza continua, quindi bisogna dare nuovi obiettivi. Ciò vale sia per chi opera nel sociale sia per chi produce. Ma può valere anche per la politica. Tutti sentono più acuto il bisogno di sicurezza. Nel mondo del lavoro un tempo era garantita dall’occupazione stabile, oggi in una epoca di lavoro ibrido, occorre costruire altri punti di riferimento. Rendere attraente l’ufficio o l’officina diventa una necessità. Nel quartier generale della società di consulenza nel Centro Porsche di Milano Nord, c’è un biliardino per rilassarsi nella pausa pranzo. Ma Nierling spiega che non è una eccezione italiana, fa parte del nuovo clima, anzi della nuova cultura aziendale.

Un aspetto in apparenza sorprendente nel paragone con la Germania è che gli italiani chiedono di essere rassicurati da una leadership forte. Dunque, l’obiettivo deve venire da chi comanda. Nelle aziende tedesche prevale il bisogno di consenso, la ricerca di coinvolgimento e collaborazione. Si potrebbe concludere che il “principio del capo” ha abbandonato la Germania moderna e permane in Italia? La responsabilità del vertice e la fermezza della guida restano caratteristiche essenziali, ma piani preconfezionati non sono graditi nelle imprese tedesche, non ci si aspetta che il top manager imponga scelte dall’alto, ma che motivi il personale, una “leadership ispirazionale” non impositiva e questo si trasmette all’intera catena di comando. Ciò vale anche in Italia, tuttavia forse per la maggiore presenza di piccoli imprenditori, senza il patron che spara il colpo di partenza si rimane fermi ai blocchi.

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