L'acciaieria di Taranto
La salvezza dell'Ilva passa dal revamping di Afo5
L’unica soluzione è riaccendere l'altoforno, investendo 500 milioni e alimentandolo con i polimeri e il plasmix. Far passare lo stabilimento allo stato porterà invece al fallimento
“Il polo di Taranto deve incamminarsi velocemente sulla strada della riconversione” ha detto ieri il ministro Urso, nelle cui mani è ritornato il dossier Ilva. Parole vuote, alla stregua della “decarbonizzazione” e dell’“acciaio verde”, che significano soldi pubblici da buttare. L’ultimo piano industriale è stato presentato a dicembre 2020 dall’allora ad di Invitalia Domenico Arcuri, governo Conte II. Prevedeva una produzione a 8 milioni di tonnellate (che per Ilva è il breakeven point) attraverso tre altoforni (due a fine vita e revamping di Afo5) e 2 nuovi forni elettrici. Quel piano non è mai cambiato e attualmente è sul tavolo del ministero dell’Ambiente che deve rilasciare la nuova autorizzazione. La costruzione di due forni elettrici (da 2,5 milioni di tonnellate) ha però allarmato gli acciaieri del nord già a corto di rottame ferroso. A quel punto il governo ha pensato di inserire accanto all’acciaieria un impianto di Dri (un preridotto che sostituisce il rottame) per alimentare sia Ilva sia i forni del nord. E’ stata costituita un’azienda pubblica ad hoc e previsto un finanziamento di un miliardo di euro dal Pnrr per fare un impianto Dri alimentato per il 90 per cento a gas e il 10 per cento a idrogeno. Ma Von der Leyen è stata chiarissima: non finanziamo impianti hard to abate a idrogeno. Per questo Fitto ha stralciato quel miliardo dal Pnrr.
Anche se dovesse arrivare tramite diverso finanziamento, come dice Pichetto Fratin, servirebbe una quantità di gas stratosferica, a prezzi non competitivi. Già oggi che Ilva va a carboncoke, e alimenta le acciaierie con gas di recupero degli altoforni, ha debiti milionari con Eni e Snam per la piccola quantità di gas che serve solo per le officine. Se non si mantiene economicamente a carbone, come potrebbe farlo a gas o idrogeno? Il piano di “decarbonizzazione” prevede la realizzazione a Taranto di un rigassificatore, ma nell’ultima audizione parlamentare all’interrogazione di Bonelli già sul piede di guerra, Bernabè ha fatto marcia indietro: il rigassificatore non si fa più. Dove e a che prezzo allora prendiamo il gas? E quanti mila lavoratori in meno? Come li rioccupiamo? Queste cose avremmo dovute leggerle in un piano di fattibilità, ma tutte le volte le richieste di accesso agli atti sono state negate da Dri Italia (società interamente pubblica guidata da Stefano Cao). Come ha spiegato ieri Oscar Giannino su queste pagine, e ha ammesso Urso ieri pomeriggio, far passare Ilva allo stato porterà a questa conseguenza: per rincorrere la politica locale, lo stato si imbarcherà in un piano irrealistico pur di raccontare “stiamo facendo la più grande acciaieria green d’Europa”. Non si farà niente. Si sprecheranno 5 miliardi, si garantiranno consulenze e si terranno 5 mila operai in cassa integrazione a vita. Nel frattempo Ilva sarà consumata sugli impianti e fallita sul mercato.
L’unica soluzione per salvare lo stabilimento l’hanno indicata i segretari di Uilm e Fim, Guglielmo Gambardella e Valerio D’Alò, in un convegno qualche giorno fa a Taranto: riaccendere Afo5. Ed è ciò che dovrebbero fare Invitalia oggi nel cda e il governo al tavolo. Vincolare il finanziamento al revamping di Afo5, spento nel 2015, che da solo fa 4,5 milioni di tonnellate di acciaio. Si investano 500 milioni per riaccenderlo, e lo si alimenti con i polimeri e il plasmix, che sia Iren a Sangiorgio di Nogaro, sia a breve la società Unità di Misura a Taranto, realizzano. E biocarbone. Tecnologie pulite già esistenti che consentono di produrre acciaio a ciclo integrale dimezzando l’uso del coke e della CO2 (l’altra potrà essere stoccata). E come ha appena fatto Alfa Acciai a Brescia, il sindaco Melucci, appena passato a Italia Viva, se ci tiene all’ambiente, realizzi un impianto di teleriscaldamento, per recuperare l’energia dell’acciaieria per riscaldare gli appartamenti della città.
Si rimetta l’azienda in produzione revampando gli altoforni, poi, una volta equilibrato il bilancio, si può anche incrementare con l’elettrico. Ma servono concretezza, e coraggio. Con le chiacchiere si possono prendere i voti, ma non si fa l’acciaio.