il vertice
Perché Dubai è il luogo giusto per una Cop senza ipocrisie
Coinvolgere i paesi produttori di petrolio senza cascare nel greenwashing. Parlano Cingolani e Nicolazzi
Per chi pensa che lasciare organizzare la Cop agli Emirati Arabi sia come affidare la guida dell’Avis a un vampiro, le parole del presidente della Cop di Dubai, Ahmed al Jaber, sono apparse come uno scandalo. In un video pubblicato dal Guardian, al Jaber dice che “non c’è nessuna scienza che dica che l’eliminazione graduale dei combustibili fossili ci permetterà di raggiungere l'obiettivo di 1,5° C”. Al Jaber è ministro dell’Industria e amministratore delegato della compagnia petrolifera di stato Adnoc, ma anche presidente di Masdar, l’azienda con sede ad Abu Dhabi che possiede una quota del più grande impianto fotovoltaico del mondo: 4 milioni di moduli solari che occupano più di 20 chilometri quadrati di deserto. I suoi affari incarnano benissimo le contraddizioni che i paesi produttori di petrolio rappresentano oggi, impegnati a difendere i propri interessi nell’estrazione delle fonti fossili mentre investono miliardi nelle energie pulite. La transizione verso fonti energetiche meno inquinanti – non solo solare, ma anche eolico e idrogeno verde – è una priorità già da qualche anno per i paesi del Golfo, dove i soldi non mancano e si punta a realizzare progetti ambiziosi. Chiedersi fino a che punto ci si possa fidare senza cadere nel tranello del greenwashing è inevitabile. “Volendo guardare il bicchiere mezzo pieno, il fatto che gli Emirati abbiano ospitato il vertice può voler dire che è iniziata una progressiva presa di coscienza del problema e rivelare un’intenzione positiva per i prossimi anni: se non avessero ospitato la Cop avremmo detto che non vogliono sentire parlare di cambiamenti climatici”, commenta al Foglio Roberto Cingolani, ministro della Transizione Ecologica nel governo Draghi e oggi amministratore delegato di Leonardo. Tuttavia, non si può evitare di coinvolgere anche le economie più dipendenti dal petrolio nella complicata trattativa per contenere l’aumento della temperatura globale. Per questo non ci sono motivi per ritenere che Dubai non sia un posto adeguato per ospitare i quasi 200 paesi che prendono parte alla Cop 28. “Non ci sono luoghi migliori o peggiori di altri per organizzare la Cop”, dice al Foglio Massimo Nicolazzi, senior advisor per la Sicurezza energetica dell’Ispi. “I paesi del Golfo vogliono dare di sé un’immagine green e hanno una chance concreta di fare una diversificazione totale delle loro economie. I fondi sovrani in questo hanno un ruolo importante. Preoccupano di più altri paesi produttori come l’Iraq, l’Iran, l’Algeria e la Nigeria: sono loro che se non cambiano modello di sviluppo non riusciranno a cavarsela”. D’altra parte, sia Cingolani che Nicolazzi concordano sul fatto che negare la correlazione tra l’uso dei combustibili fossili e la temperatura globale, come ha fatto al Jaber, sia un errore imperdonabile che oscura inevitabilmente l’impegno sul fronte delle energie rinnovabili. C’è però un altro tema che il ministro dell’Industria emiratense ha sollevato nel suo intervento pubblicato dal Guardian: è possibile eliminare completamente i combustibili fossili o è più realistico pensare che siano “parte della soluzione” e quindi puntare a una loro riduzione? “Voi chiedete l’eliminazione graduale dei combustibili fossili. Per favore – ha detto al Jaber nel corso del forum a cui stava partecipando – mostratemi un piano d’azione che ne permetta un’attuazione sostenibile dal punto di vista sociale ed economico. A meno che non vogliate riportare il mondo all’epoca delle caverne”. La discussione è centrale per i delegati che in questi giorni negoziano un accordo: nell’ultima bozza pubblicata ieri il riferimento è a un’eliminazione graduale, ma la trattativa non è ancora chiusa. “L’errore più grande è non unire tutti gli sforzi per promuovere qualunque tecnologia capace di decarbonizzare, perché non c’è una soluzione che vale per tutti i paesi – dice Cingolani – compresa la carbon capture che chiedono i paesi produttori”, cioè la possibilità di catturare e stoccare l’anidride carbonica prodotta dalla combustione. Per Nicolazzi i binari su cui muoversi sono due: “Da un lato accelerare la decarbonizzazione investendo in tecnologie che rendono il petrolio meno conveniente, perché lo è ancora, altrimenti resterebbe sotto terra. Dall’altro chiedersi come e in che misura l’occidente intenda intervenire sui paesi largamente dipendenti dalla rendita petrolifera: se non ci si interroga su questo, ai migranti climatici si sommeranno anche i migranti decarbonizzati”. Affrontare queste questioni è più complicato che trovare un accordo sull’aumento degli investimenti nelle energie rinnovabili. Ma Dubai è il luogo più opportuno per iniziare a parlarne.