Il rapporto
Produttività e declino. I mali dell'Italia arrivano anche nel Regno Unito?
In Inghilterra guardano al nostro paese come un modello da evitare, con la consapevolezza, a destra e a sinistra, che occorre trovare nuove soluzioni per rilanciare l'economia. La politica italiana invece sembra essere impegnata soltanto a favorire questo o quel gruppo di interesse
"E’ un paese che, sotto molti aspetti, è diventato meno dinamico negli ultimi decenni ed è stato colpito dalle sfide interconnesse della debole crescita della produttività e della stagnazione degli standard di vita”. Suona familiare? Non stiamo parlando dell’Italia, ma del Regno Unito. E’ la sintesi del rapporto “The Economy 2030 Inquiry”, una collaborazione durata tre anni tra la Resolution Foundation e il Centre for Economic Performance della London School of Economics, finanziato dalla Nuffield Foundation.
Il rapporto è stato discusso in una conferenza di cui ha dato notizia Luciano Capone su questo giornale, a cui hanno partecipato Keir Starmer, leader del partito laburista, e Jeremy Hunt, ministro delle Fiinanze del governo conservatore di Sunak. E’ un progetto a cui abbiamo contribuito con un paper “Lezioni dal declino economico italiano”, tratto dal nostro recente libro “Crescita economica e meritocrazia”. Ovviamente, sono lezioni in negativo. Nel rapporto il leitmotiv è proprio questo: cerchiamo di non finire male come l’Italia.
Starmer, forte di 20 punti di vantaggio nei sondaggi, si sente già primo ministro e ha affermato a chiare lettere che “ciò che definirà il prossimo governo laburista, la missione che sta sopra tutte le altre, sarà quella di aumentare la crescita della produttività”. Ha anche detto che chiunque si aspetta che il nuovo governo laburista “apra rapidamente i rubinetti della spesa” rimarrà deluso. Anche per Jeremy Hunt “l’unico modo, nel lungo termine, per migliorare il tenore di vita è aumentare la produttività”.
Per quanto possa sembrare strano per due politici navigati, entrambi hanno focalizzato il loro intervento sulla produttività, un concetto a volte un po’ ostico per chi deve parlare alla gente comune. Il rapporto rileva che durante gli anni ’90 e l’inizio dei 2000 il Regno Unito stava recuperando terreno rispetto a paesi più produttivi come Francia, Germania e Stati Uniti, un processo che si è interrotto con la crisi finanziaria del 2008- 2009 mettendo in luce come il precedente modello di sviluppo non fosse sostenibile. La crescita sarà un campo di battaglia elettorale per entrambi i principali partiti, ma è certamente incoraggiante vedere che quantomeno i problemi sono pienamente compresi, anche se ovviamente le ricette economiche sono diverse.
E in Italia? I problemi di produttività dell’Italia sono di più lunga data, molto più profondi e preoccupanti. L’Italia è tormentata da quasi mezzo secolo di stasi e declino e offre un duro avvertimento al Regno Unito. A partire dal miracolo economico degli anni ’50 e ’60, l’andamento della produttività totale dei fattori (Tfp), ovvero il tasso al quale l’economia nel complesso converte input come il capitale e lavoro in output, è stato a dir poco sconfortante. A volte considerata la misura del know-how complessivo, la Tfp in genere avanza con la conoscenza scientifica e tecnologica, come ha continuato a fare nella maggior parte dei paesi europei. Ma in Italia è rimasta stagnante dalla metà degli anni ’70, e negli ultimi 25 anni è crollata. Molti sono i fattori che appaiono essere responsabili: il gran numero di aziende che rimangono troppo piccole e poco produttive, processi innovativi scadenti, competenze inadeguate o non valorizzate, il mancato riconoscimento del merito, le ricorrenti preoccupazioni sulla sostenibilità del debito pubblico, le crisi finanziarie, l’instabilità politica. L’Italia suona di forte monito a un paese come il Regno Unito, che più di recente si è avviato su un crinale discendente altrettanto preoccupante.
Ma se la performance dell’Italia è di monito per il Regno Unito, lo è per il governo italiano? Il discorso inaugurale del primo ministro Meloni era effettivamente incoraggiante poiché lasciava capire una certa consapevolezza dei problemi, così lo erano dichiarazioni del ministro dell’Economia Giorgetti. Ma dopo più di un anno, sta cambiando qualcosa? Si ha la sensazione che la politica italiana sia più impegnata a redistribuire o a favorire questo o quel gruppo di interesse, perdendo di vista l’obiettivo primario. A volte sembra addirittura che vi sia una sorta di nostalgia del passato, per un mondo che forse non è mai esistito. Ma se crescesse di più la produttività, potrebbero crescere anche i salari migliorare gli standard di vita dei cittadini; sarebbe possibile attuare politiche a favore delle fasce deboli, dando a qualcuno senza necessariamente “far piangere i ricchi”. In sostanza la crescita della produttività è alla radice del successo di ogni economia. Tutto dovrebbe essere indirizzato a questo fine, compresi i fondi elargiti dall’Europa proprio per aiutare l’Italia ad affrontare con più risorse e con le riforme le sfide per il futuro. E’ il caso di dire a nuora perché suocera intenda?
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