L'analisi
Il decretone mancante. Il governo prende tempo sul decreto per il nuovo Pnrr
Occorrerà attendere prima di vedere il decreto Mef che recepirà il nuovo piano appena approvato dall'Ecofin. Da lì si capirà chi vince e chi perde
Non c’è fretta. Così il governo risponde a chi chiede quando sarà pubblicato il decretone Mef che recepisce il nuovo Pnrr a firma Fitto-Meloni approvato ieri dal Consiglio Ue ed elenca i progetti finanziati e definanziati. Il decreto sostituirà quello del 6 agosto 2021 e conterrà le risorse ministero per ministero. Quel decreto non arriverà in fretta. Anzitutto bisogna dare risposte sui progetti definanziati: dove si prenderanno le risorse per garantire che i progetti vadano avanti, come promesso dal ministro Fitto. Una cifra fra 10 e 15 miliardi cui dovrà far fronte, almeno momentaneamente, il Mef, che già sconta per il 2024 una riduzione di 10,5 miliardi dei trasferimenti previsti dall’Ue per l’alleggerimento dei target di quinta e sesta rata. Fitto vuole un decreto legge che imponga alle regioni di riprogrammare velocemente i fondi Ue e le risorse nazionali collegate. Operazione non semplice per il vincolo territoriale che impone l’80 per cento dei fondi al sud.
La seconda ragione per cui non c’è fretta è che, a dispetto del timbro messo dalla Ue al nuovo piano, c’è ancora gran movimento di opere che entrano ed escono. Nel piano metrò e tranvie, per esempio, si gioca in queste ore un dramma negli uffici di Roma Capitale che – pressati dalle lobby e dai chiarimenti chiesti da Anac sulla gara – hanno chiesto al ministero delle Infrastrutture di stralciare il Tva, tram Termini-Vaticano-Aurelio, sentendosi rispondere che il tram sarà stralciato, ma serve una richiesta formale che documenti perché l’opera non sia realizzabile nei tempi concordati con la Ue. E il Tva è solo la punta dell’iceberg di centinaia di trattative sotto il tavolo che si tengono in queste ore per avere o non avere i fondi, europei e italiani. Dopo, nulla si potrà più modificare. Ma la terza ragione della lentezza del governo è che il decreto Mef sarà un’operazione trasparenza dopo mesi di lavoro al buio. Dirà nomi e cognomi di chi ha vinto e chi ha perso la grande battaglia del Pnrr. Una prima idea la si ricava da un allegato “nascosto” della Commissione Ue.
Otto pagine di tabelle contenute nell’allegato svelano i finanziamenti dettagliati dei programmi e, messo a confronto con il decreto Mef del 6 agosto 2021, consentono di fare un primo bilancio ministero per ministero. Dietro il paravento pubblico dei 13 miliardi cancellati al ministero dell’Interno e ai comuni per il piano “piccole opere” (6 miliardi integralmente rimossi) e per i piani integrati e i piani di rigenerazione urbana (altri 6 miliardi di cui la metà recuperati), gli spostamenti sono centinaia.Dalla partita esce indenne la “dottrina Salvini” (spostare tanti fondi senza perdere neanche un euro dei 39,7 miliardi assegnati, la dote maggiore fra tutti i ministeri) nonostante siano cancellate per ritardi quattro linee ferroviarie (circonvallazione di Trento, due lotti della Palermo-Catania e la Roma-Pescara). Per compensare, treni verdi (1,3 miliardi), un miliardo al piano acquedotti, 800 milioni all’Av Brescia-Padova, 300 milioni al Terzo valico e 400 milioni all’elettrificazione dei porti.
Gran guazzabuglio alle missioni 2 (transizione ecologica) e 5 (inclusione e coesione). Il capitolo green sacrifica 4 miliardi dei 59,5 destinati originariamente e si carica la fetta più alta di sacrifici per finanziare il RePowerEu (11,2 miliardi di cui 3 finanziati con l’aumento generale dei fondi). Se ne vanno 953 milioni per il dissesto idrogeologico, 120 per il verde urbano, 500 per la bonifica dei siti orfani, 1,6 miliardi da rimodulare dai piani di decarbonizzazione dei settori industriali, che però vanno inseriti fra i vincitori perché incassano 5,6 miliardi di Transizione 5.0 nel RePowerEu. Meno dirigismo ministeriale, più scelta d’impresa. La missione 5 perde 3 miliardi di cui uno per le politiche attive, ma molte rimodulazioni sono da seguire. Il dipartimento dell’Innovazione tecnologica perde 344 milioni di piano “Italia a 1 Gbps” e 905 milioni di “Piano 5G” ma salva la dote di 12 miliardi, nell’ambito di una Missione 1 digitalizzazione che guadagna un miliardo. Il sindaco di Roma Gualtieri perderà i 500 milioni di Caput mundi (che non avrebbe rispettato le scadenze). La Protezione civile salva 1,2 miliardi per le emergenze del dissesto idrogeologico ma li deve destinare agli eventi passati, a partire dall’Emilia-Romagna.
Salvo il miliardo e mezzo per le tecnologie satellitari e gli investimenti spaziali. La Pubblica istruzione e l’Università (30 miliardi per la missione 4) mantengono sulla carta gli stessi fondi ma pure qui ci sono un rimescolamento di carte e molte incognite. La più grande delle quali resta il piano asili nido: nelle carte Ue non compare proprio, i comuni giurano di aver salvato i 4,6 miliardi pur con una riduzione dei posti. Il capitolo istruzione va in gran parte riscritto. La Sanità mantiene i 15,5 miliardi ma con lo stralcio di programmi prioritari: via un miliardo da Case di comunità e sanità territoriale ridestinato alle attrezzature ospedaliere. Tra i vincitori il ministro dell’Agricoltura Lollobrigida, che oltre a mantenere 800 milioni per la filiera logistica, incassa un fondo rotativo di 2 miliardi nuovi di zecca per i contratti di filiera per Pmi, impianti fotovoltaici, logistica e digitalizzazione dell’agroalimentare.