dopo la Cop 28
Difendere l'ambiente senza colpire la ricchezza si può
Affrontare la minaccia climatica con il fieno in cascina e scommettendo sul nucleare. Lezioni dalla Cop28
Alcuni punti di accordo e uno di disaccordo può essere la sintesi della Cop 28 a Dubai. Quello decisivo è naturalmente il punto di contrasto. Uno dei punti di accordo è il vecchio cavallo di battaglia: il potenziamento delle rinnovabili che andrebbero triplicate entro il 2030. Il nostro ministro, Gilberto Pichetto Fratin, segnala che l’Italia è su questo punto perfettamente allineata avendo già previsto di raggiungere questo obiettivo nel nuovo Piano Energetico, entro quella data. Ma un conto sono i piani scritti sui documenti e un conto la realtà. Aggiungere 50.000 MW di solare al ritmo di 7 all’anno contro i 3/4 degli ultimi anni con l’aiuto decisivo del superbonus 110 e 16.000 di eolico, 2.000 all’anno, contro i circa 500 installati nell’ultimo anno e con in tassi di interesse che impiombano i grandi progetti off-shore, appare onestamente molto arduo. Probabilmente impossibile.
La seconda novità, e questa è veramente una novità, è rappresentata dall’obbiettivo di incrementare anche la produzione di energia nucleare entro la stessa data. La novità è rappresentata dal fatto che dopo anni di discussioni di principio e di veti ambientalisti pare che ci sia finalmente resi conto che il processo di decarbonizzazione ha bisogno anche di questa tecnologia, per altro l’unica in grado di fornire energia elettrica in grandi quantità e in modo continuo. Qui la posizione italiana è ben sintetizzata da un comico titolo di Repubblica a un’intervista sempre al ministro Fratin: “Siamo per il nucleare, ma no a nuove centrali”. Ci penserà lo Spirito Santo. In realtà il ministro prende posizione per la nuova tecnologia SMR, vale a dire di reattori di relativamente piccola taglia (200/400) MW che dovrebbero essere realizzati da privati soprattutto nelle aree industriali. Detta così sembra più che altro un tentativo di buttare la palla in tribuna, sdoganando il nucleare a parole ma senza nessun impegno nell’immediato. Ma qui l’Italia in fondo non deve triplicare nulla avendo una produzione pari a zero.
Altri punti di intesa sono il raddoppio dei miglioramenti nell’efficienza energetica, l’uso di tecnologie low carbon e di mitigazione come il sequestro del carbonio e la riduzione delle emissioni di metano. Ma lo scontro si è consumato soprattutto sul futuro dei combustibili fossili e sui tempi di un loro (impossibile) phase-out, cioè di una rinuncia al loro uso o almeno di una drastica riduzione. Il fatto che la Cop 28 si sia tenuta a Dubai e sia stata presieduta da un importante esponente dell’industria petrolifera degli Emirati, Sultan Al Jaber, paradossalmente è servita a mettere in chiaro i motivi del contrasto fra chi ne annuncia e ne richiede il declino in tempi rapidi e chi ne difende l’importanza per un tempo ancora lungo. Sul lato dei consumi i combustibili fossili (carbone, petrolio e gas) contribuiscono oggi per più dell’80 per cento del totale dell’energia utilizzata nel mondo. Nell’ultimo ventennio si è registrata una regressione di qualche punto percentuale, ma tenendo conto del fatto che la torta del totale dei consumi continua ad aumentare le quantità assolute, e con esse le emissioni associate, continuano a crescere. Infatti il 2022 ha visto il picco sia nei consumi di carbone, più di 8 miliardi di tonnellate all’anno, sia in quelli di petrolio, oltre i 100 milioni di barili al giorno, con una lieve flessione solo per il gas soprattutto a causa dell’aumento dei prezzi. E anche le emissioni sono continuate a crescere. In poche parole, il mondo, compresi l’Italia e l’Europa, si scalda, cucina, si muove, produce ancora per l’80% grazie ai fossili. Contemporaneamente intere economie basano una quota importante del loro PIL nazionale sulla produzione e vendita di gas e petrolio. E carbone. Oggi il primo produttore di gas e petrolio sono gli Stati Uniti, diventati esportatori netti, anche se il loro peso sull’enorme economia americana è piccolo, ma vi sono economie di interi paesi che dipendono per più del 5% fino a percentuali vicine al 50% del pil da queste esportazioni. Lasciando pur perdere la realtà ben conosciuta dei Paesi Arabi, nella lista troviamo la Libia, l’Iraq, l’Iran, la Federazione Russa, l’Algeria, ma anche diversi stati africani come il Congo, l’Angola, il Chad , il Gabon, la Guinea Equatoriale, la Nigeria, e diversi sudamericani come il Venezuela, l’Ecuador e la Colombia. Il phase-out totale insomma significa la completa riconversione dell’economia mondiale sul lato dei consumi e quella di intere nazioni sul lato della ricchezza prodotta. Un conto quindi è annunciare che il mondo dovrà prima o poi fare a mano dei combustibili fossili, un altro è cercare di mettere una data di scadenza a prodotti da cui dipende in gran parte il benessere dell’umanità. Dalla rivoluzione industriale ad oggi.
Ma Dubai ha visto anche il manifestarsi di quella emergente contrapposizione fra Nord e Sud del mondo, che oggi si ripropone in termini nuovi e con il protagonismo di una superpotenza come la Cina e di potenze in crescita come India e Brasile. Con diversi alleati fra cui la Russia di Putin e potenzialmente diversi Paesi arabi. Il “colonialismo ambientale” rappresenta una delle nuove accuse rivolte dal mondo emergente ai paesi ricchi da tempo. E’ una linea che trova le sue motivazioni nel disperato bisogno di energia di miliardi di persone che vivono fuori da Stati Uniti e Unione europea, e che ne hanno bisogno per crescere e conquistare un minimo di benessere. Un frigorifero occidentale consuma quanto un abitante medio dell’Africa, titolava l’Economist qualche mese fa. La ricchezza occidentale si è costruita innanzitutto sui combustibili fossili. Ed è la ragione per cui Cina e India, e molti altri, continuano a costruire centrali a carbone, la fonte con la tecnologia più semplice, con un combustibile abbondante e relativamente a buon mercato. Alcuni di questi paesi si candidano anche alla leadership nella realizzazione di impianti rinnovabili e nel nucleare, primi fra tutti Cina e Paesi arabi. Ma senza rinunciare ai proventi e all’uso dei fossili. Se il nord del mondo si farà percepire come la parte che per salvare se stessa dalla minaccia climatica sacrifica le esigenze di crescita del resto del mondo il fossato si approfondirà. Ma la minaccia climatica riguarda tutti, si dirà. Già, ma meglio affrontarla con un po’ di fieno in cascina che completamente al verde. Peggio dell’inquinamento, diceva Indira Gandhi, già diversi decenni fa, c’è la povertà.