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l'analisi

Il declino demografico colpisce la crescita economica. Perché è essenziale agire in Italia

Guido Ascari e Riccardo Trezzi

Rispetto a 20 anni fa, in Italia ci sono 3 milioni di persone in meno nella fascia d'eta 25-49 anni. Non stupisce che nello stesso periodo il pil non sia cresciuto. Cosa dice il modello neoclassico sull'economia e la natalità

Al primo anno nelle facoltà di economia si insegna che la crescita economica di lungo periodo è determinata da due fattori: le dinamiche demografiche, in particolar modo la fascia d’età lavorativa compresa tra i 15 edi 64 anni, e la crescita della produttività dei fattori capitale e lavoro. Questo modello, generalmente chiamato “neoclassico”, si fonda sui contributi di Robert Solow (1956), David Cass (1965) e Tjalling Koopmans (1965). Pur essendo un costrutto relativamente semplice, il modello neoclassico rimane al centro del pensiero economico poiché, come mostrato da uno studio recente, è in grado di spiegare i divergenti percorsi di crescita osservati tra paesi sviluppati negli ultimi 30 anni. Questo nostro intervento vuole ricordare l’importanza delle prescrizioni della teoria e dell’evidenza empirica alla luce dei dati demografici diffusi dall’Istat lunedì, che segnalano una discesa dei residenti in Italia sotto la soglia di 59 milioni.

Il punto di partenza del nostro ragionamento è l’evidenza nei dati: a partire dall’inizio degli anni ’90 si è osservata una dinamica divergente di crescita tra paesi industrializzati. In particolar modo, la crescita cumulata del pil è risultata più alta in alcuni paesi (Stati Uniti e Canada) e molto più bassa in altri (Italia e Giappone). Fatto 100 il livello del pil nel 1990, nel 2020 il pil risultava attorno a 200 per Stati Uniti e Canada e solo 120 in Italia e Giappone. Un recente studio a firma Jesus Fernandez-Villaverde, Gustavo Ventura, and Wen Yao (2023), mostra che il gap di crescita è facilmente spiegabile, come anticipato in apertura, dal modello neoclassico. In particolare, lo studio mostra che normalizzando il pil per numero di persone in età lavorativa (15-64 anni), il gap tende a scomparire. Detto in altri termini, se tutti i paesi avessero avuto le stesse dinamiche demografiche, per una data dinamica esogena della produttività, non avremmo visto differenze nell’andamento del pil. 

L’unica eccezione nello studio è l’Italia, che accumula ritardo rispetto agli altri paesi anche correggendo per la popolazione. Tuttavia, rifacendo i calcoli suggeriti da Villaverde et al. (2023) e confrontando l’Italia con gli Stati Uniti, si nota che molto del gap degli ultimi 30 anni è dovuto al periodo 2008-2014 sul quale non entriamo nel merito perché imporrebbe ripercorrere le vicende della crisi del debito sovrano e dell’aggiustamento dei prezzi relativi post-crisi. Vogliamo però sottolineare che nei periodi 1995-2008 e 2014-2023, la maggior parte del divario di crescita cumulata tra Italia e Stati Uniti può essere spiegato dall’andamento della popolazione in età lavorativa, con la parte rimanente dovuta al divario di produttività. Detto in altri termini, le dinamiche demografiche, in teoria e nei numeri, sono cruciali per la crescita sebbene siano spesso trascurate nel dibattito dominato questioni congiunturali. 

L’evidenza degli studi appare ancora più importante considerando i dati sulla demografia dell’Istat. Il quadro conferma una situazione allarmante. La popolazione italiana è in calo costante da 7 anni, solo parzialmente contrastato dal saldo migratorio. Allargando l’orizzonte, vi sono oggi in Italia circa 3 milioni in meno di persone nella fascia d’età 25-49 anni rispetto a 20 anni fa. Questo calo è dovuto sia alla minore natalità, sia all’emigrazione dei laureati. Non stupisce quindi che nello stesso periodo il pil italiano non sia cresciuto poichè le dinamiche demografiche (e della produttività) sono state tra le peggiori al mondo. 

La situazione è così allarmante da richiedere misure imponenti. Senza entrare nel dibattito politico, i numeri dicono  che occorre agire su ogni fronte per porre un freno all’emorragia e possibilmente invertire la rotta: aumentare la natalità, aumentare e controllare i flussi di lavoratori qualificati, evitare un’emigrazione netta di giovani italiani ad alto capitale umano. Il problema non è tanto (o solo) che i giovani italiani emigrano, ma soprattutto che l’Italia non ne attrae, cosicché il saldo netto risulta negativo. Senza queste misure il paese continuerà a essere a rischio declino. Un paese anziano non innova, non adotta nuove tecnologie, non cresce e non ha sostenibilità dei conti pubblici.

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