L'economia degli stretti

La crisi nel Mar Rosso è seria, ma i ricaschi sull'economia per ora sono contenuti

Giorgio Arfaras

Il controllo dei mari attraverso le flotte militari si chiama "talassocrazia": un tempo la praticava Atene, oggi gli Stati Uniti. Questo potere è cruciale nel controllo del commercio mondiale

La gran parte del commercio internazionale di beni “fisici” passa dal trasporto marittimo. Il trasporto marittimo, a sua volta, passa anche dagli stretti. In particolare, il trasporto marittimo di materie prime non rinnovabili, le cui riserve sono in parte consistente stipate nel vicino oriente, passa attraverso lo Stretto di Hormuz, nel Golfo Persico, e attraverso lo Stretto di Bab el Mandeb, all’inizio del Mar Rosso. Passati questi due stretti, il commercio si muove a est verso lo stretto di Malacca, uno stretto naturale, a ovest verso il canale di Suez, uno stretto artificiale, che proprio per questo chiede un pagamento per il transito, a sud verso il Capo di Buona Speranza, di nuovo uno stretto naturale. Il controllo degli stretti è cruciale per il controllo del commercio mondiale. Il controllo si ha sia con la presenza militare sulla terra, sia  può essere statale o di gruppi di guerriglieri, come sta accadendo oggi in Yemen, sia con la presenza delle flotte militari al largo. La maggiore delle quali è oggi quella statunitense. Il controllo dei mari attraverso le flotte militari è la famigerata “talassocrazia”, un tempo di Atene, oggi degli Stati Uniti. La Via della seta è stata escogitata dai cinesi proprio per evitare nel campo del commercio il controllo statunitense dei mari.

 

 

Se uno stretto è bloccato, oppure se il transito delle navi avviene con difficoltà, o non avviene del tutto, l’offerta di nuovi quantitativi di materie prime non rinnovabili si blocca. In presenza di una domanda nel breve termine rigida, i prezzi di queste materie prime si inerpica, e si inerpica a seconda di quante riserve di idrocarburi hanno i paesi consumatori. In conclusione, i prezzi  possono inerpicarsi per il tempo che gli stretti sono parzialmente bloccati o bloccati del tutto. Una volta che la circolazione attraverso gli stretti riprende, i prezzi scendono. I prezzi dei beni commerciati internazionalmente risentono delle difficoltà che sorgono con uno o più stretti bloccati. E risentono del blocco a seconda di quanto commercio passa per ciascun blocco. Il dieci per cento del trasporto delle materie prime non rinnovabili e il trenta per cento del trasporto di container passano da Bab el Mandeb, lo stretto oggi bloccato dei guerriglieri yemeniti vicini all’Iran.

Che cosa sta accadendo con il blocco di questo stretto? Le navi per arrivare in Europa e negli Stati Uniti per reazione si muovono a sud verso il Capo di Buona Speranza. Ciò che, allungando il viaggio di una decina di giorni, genera, come è  ovvio, dei costi maggiori di trasporto, intanto che crea dei problemi logistici nei porti di arrivo che non possono smaltire gli arrivi secondo la programmazione in essere.

Da quando è in corso il blocco dello Stretto di Bab el Mandeb il prezzo del petrolio è salito molto poco, segno sia che la domanda di questa materia prima non è oggi molto vivace, sia che si hanno delle riserve sufficienti, sia che si pensa che la crisi rientrerà in un tempo ragionevole, anche per effetto di un intervento militare. Da questo stretto passa anche una quota notevole di commercio mondiale, che si materializza attraverso i container. Il prezzo di questi ultimi non è esploso come, invece, era accaduto ai tempi del Covid e del blocco delle catene di approvvigionamento. Allora si aveva la combinazione di un ritorno improvviso della domanda a fronte alla produzione di un numero insufficiente di container. La produzione di questi ultimi era stata ridotta in previsione della crisi. Oggi non è più così.

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