Numeri e prospettive
Dal Pnrr la lotta per le risorse passa al Piano complementare. Salvini è in prima linea
Sul Pnc si scaricheranno tutte le tensioni viste nei mesi scorsi fra governo, regioni e comuni per i progetti cassati dal Recovery. In questa sfida, la parte del leone la fa il ministero delle Infrastrutture che incassa 9.760 milioni di euro, quasi un terzo del totale
Si apre già la “fase due” della caccia alle risorse del Pnrr e dintorni, dove i dintorni stanno, in questo caso, per Piano nazionale complementare (Pnc). Sul Pnc si scaricheranno infatti tutte le tensioni viste nei mesi scorsi fra governo, regioni e comuni per i progetti cassati dal Pnrr. Lo fa capire indirettamente il ministro dell’Economia Giorgetti, che, in un’intervista al Sole 24 Ore, dice che da lì, in prima battuta, si cercheranno le risorse per finanziare i progetti stralciati, a partire da quelli sulla riqualificazione urbana e sulle piccole opere. Servono 11-12 miliardi, 2-3 miliardi subito per dare risposta ai lavori appaltati o cantierati.
E’ evidente l’intento di Giorgetti di non contabilizzare a bilancio neanche un euro in più per la disputa dei mesi scorsi fra Raffaele Fitto e i sindaci. Il Pnc viene preferito anche al Fondo sviluppo e coesione (Fsc) che ha un vincolo territoriale in favore del Sud (80 per cento) e soprattutto può contare su una disponibilità di cassa molto limitata nei prossimi 2-3 anni, con il rischio che a fornire la cassa debba pensare Giorgetti. Che non ci pensa proprio e avvisa: tutti i giochi vanno fatti nel perimetro Pnrr+Pnc. D’altra parte il Pnc ha una dote disponibile di 21,9 miliardi da spendere entro il 2024 e al momento gli obiettivi fissati sono tutti fortemente in ritardo. Ma cos’è il Pnc? E’ un piano avviato dal governo Draghi nel maggio 2021 per fiancheggiare il Pnrr con 30,6 miliardi di debito nazionale: risorse aggiuntive ai 191,5 miliardi Ue (ora 194,4 dopo la revisione) destinati per 11,2 miliardi a integrare i fondi di sei interventi già contenuti nel Pnrr.
Mentre, per altri 19,4 miliardi il Pnc finanzia 24 programmi “esclusivi” che non sarebbero potuti entrare nel Pnrr perché poco green (non rispondenti cioè al principio del Dnsh, Do not significant harm, non recare significativi danni all’ambiente) o perché impossibilitati a essere conclusi entro il giugno 2026, ma che sono considerati comunque correlati al Pnrr, tanto è che usufruiscono delle stesse regole (semplificazioni) e sono soggette a vincoli simili (con l’eccezione del 2026).
Ancora più che nel Pnrr, nel Pnc la parte del leone la fa il ministero delle Infrastrutture che incassa dal piano 9.760 milioni di euro, quasi un terzo del totale. Segue il ministero delle Imprese e del Made in Italy (ex Sviluppo economico) con 6.880 milioni mentre 4.563,6 milioni vanno a finanziare il Superbonus (in aggiunta ai 13,95 miliardi dal Pnrr). Gli altri due ministeri di spesa che prendeono cospicue risorse sono la Sanità (2.387 milioni) e la Cultura (1.455 milioni), mentre le risorse della presidenza del Consiglio vanno a cittadinanza digitale (350 milioni), competenze digitali (250 milioni) e tecnologie satellitari ed economia spaziale (800 milioni). I soldi del Mef, 1.780 milioni intoccabili, vanno alle aree dei terremoti 2009 e 2016.
Interessante dare un’occhiata a cosa c’è nello scatolone del ministero delle Infrastrutture (Mit) perché, come già successo con la prima partita sulle risorse Pnrr, sarà anzitutto qui che si cercherà di pescare per recuperare le risorse mancanti. E se nel primo tempo Salvini è uscito vincitore dal confronto con Fitto, salvando tutta la sua dote e anzi accrescendola, in questo secondo tempo per lui il gioco si farà più duro perché il Pnc è un oggetto più opaco (c’è una relazione semestrale della Ragioneria ferma a giugno ma le informazioni sono meno accessibili del Pnrr) e soprattutto perché qui i ritardi – che non sono soggetti a esami Ue – sono più marcati per tutti: solo il 17 per cento degli obiettivi era stato centrato a giugno 2023 e il 39 per cento era molto lontano dal traguardo. La coppia Giorgetti-Fitto avrà quindi più facilità a usare le forbici e sui progetti in ritardo. Era già previsto un decreto del Mef per rimodulare e spostare i fondi dai progetti in ritardo.
Nello scatolone del Mit ci sono oltre duemila Cup (codici identificativi dei singoli progetti), su un totale di 4.008, suddivisi in una vasta articolazione di programmi: 1.400 milioni di euro vanno a bus, treni e navi verdi (praticamente intoccabili perché molto green e relativamente facili da appaltare, anche se una parte sono stati trasferiti al Pnrr per accelerarlo); 1.550 milioni di euro vanno a linee ferroviarie regionali (anche questi già parzialmente trasferiti nel Pnrr); 200 milioni ai treni merci (ma qui manca un via libera della commissione Ue sul programma); 1.450 milioni alle “strade sicure” di Anas con un sistema di monitoraggio elettronico per la sicurezza di ponti, viadotti e tunnel (in forte ritardo per 54 interventi su 60); 1.860 milioni allo sviluppo dell’accessibilità marittima e all’aumento della capacità portuale; 700 milioni di euro al cold ironing (già finanziato con la rimodulazione Pnrr per 400 milioni); 250 milioni all’ultimo miglio per lo scambio intermodale strada-ferro; 300 milioni alle aree interne (747 interventi di cui solo il 12 per cento ha avviato i lavori); infine due miliardi al programma di riqualificazione dell’edilizia residenziale pubblica, pure questo tema politicamente intoccabile e con 880 interventi già avviati su 988).
Già da questa carrellata è evidente come i ritardi di alcuni programmi e l’osmosi di fondi e progetti con il Pnrr aprono spazi per pescare dal Mit una quota delle risorse necessarie per rifinanziare i progetti comunali stralciati dal Pnrr. La partita tecnica si giocherà su centinaia di schede per capire lo stato di avanzamento dei progetti. Ma anche questa resta una partita prevalentemente politica e in questo gioco il ministro delle Infrastrutture – forte della “dottrina Salvini” per cui si cambiano i progetti ma non un euro esce dal perimetro ministeriale – ha già dimostrato di essere il giocatore migliore.
Stavolta, però, il confronto sarà anche un test importante per capire come cambieranno i rapporti di forza nella maggioranza, fra impatto possibile delle inchieste sugli appalti Anas e campagna elettorale per le elezioni europee già cominciata.