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L'analisi

L'economia monetaria da sola non basta. Appunti per l'Unione europea

Pasquale Lucio Scandizzo e Giovanni Tria

Nel venticinquesimo anniversario dell’euro abbiamo appreso una lezione: serve una politica fiscale comune a tutta l'euro zona

Nel momento in cui festeggiamo il venticinquesimo anniversario dell’euro, valuta che ha rivoluzionato il panorama economico europeo, siamo chiamati a una riflessione sull’evoluzione della politica monetaria in un’epoca segnata da significative turbolenze economiche. Oltre a rappresentare un cambiamento nelle relazioni economiche transnazionali, l’euro ha sollevato interrogativi cruciali sulla gestione monetaria e sulle sue ripercussioni.

La crescente importanza della politica monetaria nell’economia contemporanea può essere attribuita alla percezione di una sua maggiore efficienza nella stimolazione della crescita attraverso la gestione della liquidità, o più in generale nella stabilizzazione delle economie, rispetto alle politiche fiscali. Questo approccio, distinto dalle misure fiscali maggiormente mirate sia in termini di ampiezza sia di specificità, ha guadagnato slancio come leva economica impersonale e applicabile su larga scala. Il ricorso all’allentamento quantitativo, in particolare dopo l’importante recessione economica dello scorso decennio e a fronte di pericoli di deflazione, ha segnato un cambiamento storico verso tassi di interesse sostenutamente bassi, raggiungendo addirittura il limite inferiore critico di interessi nominali negativi. Questo cambio di paradigma verso gli strumenti monetari è stato visto come una scelta razionale, soprattutto a causa della loro supervisione da entità tecnocratiche come le banche centrali, che offrivano un’apparenza di autonomia e affidabilità rispetto agli organismi fiscali più orientati politicamente.

In Europa, questa evoluzione ha raggiunto il suo apice con la creazione dell’euro e il rafforzamento della Banca centrale europea. Questo passaggio ha riflesso le tendenze di politica monetaria espansiva in altre economie di mercato, in particolare negli Stati Uniti. Tuttavia, in Europa si è sviluppato in assenza di un’autorità fiscale corrispondente a livello europeo, e ciò ha rafforzato uno sviluppo asimmetrico nella governance economica. Questo squilibrio ha inevitabilmente generato una prevedibile disconnessione tra politiche monetarie e fiscali, radicata nel desiderio di prevenire la monetizzazione dei deficit fiscali e una ripetizione delle spirali inflazionistiche degli anni 70 e 80. Il “divorzio” tra governi e banche centrali, come fenomeno mondiale, sebbene strumentale nel frenare l’inflazione, ha probabilmente contribuito in tal modo ad aumentare il debito pubblico globale e polarizzato il dibattito sulla politica fiscale. 

Nella politica statunitense era tradizionale il dibattito tra il differente approccio teorico dei conservatori rispetto a quello dei progressisti nell’affrontare una recessione con la politica fiscale. Laddove i primi privilegiavano i tagli fiscali per poi chiudere il deficit creato con una compressione della spesa, mentre i secondi puntavano a un ampliamento della spesa per poi eliminare il deficit con un aumento delle tasse. Con il primo approccio i conservatori puntavano a limitare la crescita progressiva dello stato nell’economia, mentre i secondi andavano nella direzione opposta. Anche se, nella realtà, anche negli Stati Uniti, quasi tutti i governi hanno tendenzialmente finito per rinunciare al rientro dai deficit per affidarsi maggiormente alla politica monetaria, e ampliando il debito.

La separazione degli strumenti monetari e fiscali ha anche contribuito al declino degli investimenti pubblici e ha limitato gli investimenti privati, che da una parte non hanno goduto della stimolazione economica diretta propria della politica fiscale mentre l’ampliamento della liquidità ha finito per favorire principalmente la crescita di un settore finanziario ipertrofico. In Europa, l’assenza di una capacità fiscale centrale e di un’autorità fiscale europea ha determinato l’incapacità di mobilitare risorse produttive e di creare le necessarie sinergie per la costruzione di un programma di investimenti pubblici e privati di livello europeo. Il predominante affidamento alla politica monetaria quale strumento economico principale, in assenza di un’adeguata coordinazione fiscale, ha promosso forme di selezione avversa stimolando, in presenza di un eccesso di liquidità, un utilizzo orientato principalmente verso il settore finanziario. Ciò, a sua volta, ha alimentato lo sviluppo di un’economia parallela, contraddistinta da speculazioni finanziarie e da attività il cui valore è tendenzialmente sovrastimato e volatile.

Nel campo della modellazione economica, l’ascesa della politica monetaria si riflette nei modelli, inclusi quelli di varietà neokeynesiana, che ruotano spesso attorno al principio dell’efficacia ottimale della politica monetaria, paragonandola a un servizio ecosistemico essenziale e onnipresente. Tuttavia, una falla critica nell’applicazione della politica monetaria è proprio la sua capacità di implementazione isolata, disconnessa da un efficace mix di politiche fiscali. Questo potenziale isolamento, favorito dalla natura tecnocratica della sua gestione, riduce i suoi potenziali benefici e la sua efficacia. In primo luogo, la politica monetaria da sola è uno strumento di stimolo limitato e richiede la complementarità di robusti programmi di investimento pubblico per contrastare l’esitazione a investire del settore privato durante le crisi. In secondo luogo, sebbene efficace nel controllo dell’inflazione, la politica monetaria restrittiva può esacerbare la selezione avversa, privilegiando investimenti e prestiti ad alto rischio. Infine, il suo design intrinseco per la gestione del ciclo economico a breve termine limita la sua utilità nel raggiungere obiettivi strutturali a lungo termine, che sono tradizionalmente il dominio degli strumenti fiscali.

In conclusione, la politica monetaria è diventata un pilastro centrale della politica economica, ma l’occasione del 25esimo anniversario dell’euro suggerisce che, nonostante i suoi vantaggi potenziali, essa può creare pericoli crescenti di polarizzazione e disaccoppiamento. La lezione che dobbiamo trarre è che la politica monetaria necessita di essere integrata da una politica fiscale forte e ben coordinata per essere veramente efficace e produrre benefici duraturi. Il coordinamento a livello europeo dovrebbe inoltre assicurare un robusto e crescente programma di investimenti federali, potenziando sinergie e coordinamento tra i paesi membri in una prospettiva di allargamento e di rilancio della politica comunitaria e del progetto europeo.  Solo in questo modo sarà possibile sfruttare appieno il potenziale dell’euro e assicurare un futuro economico più stabile, equilibrato e prospero per tutta l’Europa.

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