La mutazione
Oggi il core business di Rep. non è più la politica: è il calcio
Il pallone per l’Avvocato era orpello di altri regni. Per Berlusconi, fu la porta calcistica per entrare da campione nella politica pop. Ora vale oro. Così è cambiato il giornale di Elkann
Franz Anton Beckenbauer, incoronato Kaiser in un mondo antico in cui solo un altro aveva diritto a un titolo da O Rei, restò stoicamente in campo con un braccio al collo e una spalla lussata e perse la partita della vita, ma bello e luminoso come un Napoleone ad Austerlitz. Poi dimenticò le ferite e ne vinse un altro, di Mondiale. E proprio nella sua Heimat, a due passi da casa. Nell’albo del calcio riservato alle leggende e agli eroi senza macchia qualcuno dovrebbe ricordarsi di annotare che, forse, se n’è andato anche per non dover più leggere certi titoli sui giornali. Giornali intorcinati in una lotta nel fango d’altri tempi, che non è nemmeno più tifo, che dimenticano persino di dare i risultati – a che dovrebbero servire le pagine sportive? – che titolano “Il letargo del Var”. Come ha fatto domenica Repubblica, il giornale di proprietà dei proprietari della squadra in lotta per lo scudetto contro la squadra della notte di Milano. Così niente cronaca, tabellino, nemmeno la mitica pagella dei migliori e peggiori. Pura cronaca da mattinale: “Altro errore in Inter-Verona”; “L’Inter ha vinto segnando un gol al 93’ viziato da una gomitata di Bastoni a Duda”; “Scavetti e provocazioni a San Siro”, cercati col drone.
Così che il paziente lettore, sprovvisto di abbonamento Dazn, è costretto all’idea che Bastoni abbia ucciso un cristiano e l’Inter sia fuggita rubando persino i pandori. Ciao Kaiser, non è più calcio per te. Ma che non sia nemmeno più giornalismo d’altri tempi lo aveva già spiegato, qui al Foglio, un altro Kaiser del settore giornali: CDB, poco tempo fa. Strano il destino dei giornali, e ancora più bizzarro può essere quello dei gruppi editoriali. Sebbene non ci sia niente di casuale, di fortuito, come il rimpallo di un pallone o un fuorigioco tecnologico di zero virgola centimetri di piede. Una logica c’è, nel destino di giornali e gruppi editoriali che un tempo si occupavano di dare la linea politica al paese, di schiantare manu militari i governi sgraditi, di indicare i cinghialoni da abbattere (e più tardi i cinghialini fiorentini da azzoppare e additare all’odio delle curve). E oggi invece si occupano di classifiche e cartellini, non più delle colpe del Cav. o delle sentenze del Tar: ma del “letargo del Var”.
La mutazione di Rep. – ma anche del suo concorrente granata, va detto – è esemplare. Il caso del quotidiano diretto da Maurizio Zazzaroni-Molinari è impressionante. Capiamo benissimo che MZM abbia tutt’altro di cui occuparsi, e staremo al suo fianco finché l’ultimo terrorista di Hamas sarà stato stanato. Però, cribbio! (come avrebbe detto il Cav., che se ne fregava dei Var e anche dei Tar), un vice, un capo titolista, un correttore, un proto, il povero direttore con l’elmetto ce l’avrà pure. Un guardaspalle che gli eviti di finire trasformato nell’ircocervo Zazzaroni-Molinari.
E invece, ma non è la prima volta, le pagine sportive di Rep. sembravano compilate dalla redazione giudiziaria, più ancora che politica. Un attacco al rivale attraverso un attacco al sistema arbitrale, da parte del giornale che il giorno dopo s’è dimenticato di protestare per Rugani che al 73’ pareva uscito da un tunnel di Gaza (“al massimo arancione”), o di stigmatizzare la mancanza di sportività di una palla avvelenata e non restituita. Si è passati dal toreare della politica a fare tifoseria politica nel settore calcio. Strano il destino dei giornali, ma è così. Se il mercato dell’auto va male, un tempo la Real casa si sarebbe occupata, coi suoi giornali, di strattonare il governo su questo. E se la politica alza il braccio teso, la Rep. di un tempo di quello si sarebbe occupata (Berizzi permettendo) e non dell’aderenza al corpo del braccio scomposto al Var. Quello era il core business. Ma il punto è appunto questo: oggi il core business di casa Elkann – editore e patron – non è più l’auto né la politica: è il calcio. E vincere – bella lotta all’ultimo sangue in corso, e manca ancora metà del sangue da sputare – è l’unica cosa che conta, anche economicamente, soprattutto economicamente.
Così le pagine che un tempo erano lo svago sono diventate materia rovente di battaglie che valgono al di fuori del campo: là dove si contano soldi, contratti, abbonati. E se la credibilità rischia di zoppicare un po’ – suvvia, mica son tutti Zazzaroni – la posta in palio è troppo alta. Non è nemmeno il solo caso, abbiamo detto. Basterebbe vedere il trattamento che i giornali di Urbano Cairo fanno delle vicende della squadra del presidente. E persino Mediaset, che ormai non ha nulla a che fare in solido, si sente parte della battaglia tra i club.
I bilanci sono importanti, tanto più in questa tempesta imperfetta di super Champions e Superleghe e sultani e diritti satellitari, quando appartenere all’élite dei club mondiali consente progetti investimenti e ritorni.
E invece scivolare anche solo un gradino sotto, fosse pure per un centimetro di fuorigioco visto (o non visto) dal Var, può fare la differenza. Un tempo per l’Avvocato la Vecchia Signora era la corona pop di un potere che si cibava d’altro; per il Cav. fu la porta calcistica per entrare da campione nella politica pop. E possedere giornali era instrumentum regni per la conquista di ben altri reami, o per combattere guerre di potere vere. Oggi è parte stessa del core business. Oggi tutti titoleranno su Kaiser Franz, eroe di un calcio d’altri tempi, quando si giocava persino con il braccio al collo, che è stato poi anche uomo di società e di Nazionale, e quanto contasse saper gestire il potere nel mondo sportivo lo sapeva assai bene. Ma se n’è andato prima di vedere il gran salto: giornali ed editori che hanno trasformato le pagine del calcio in una vitale questione di potere, fuori dal campo.