il caso
SmI fa saltare il banco. A rischio Confindustria moda
I soliti malumori, quelli di Sistema moda Italia, e le consuete smanie di protagonismo italico mettono in crisi la prima vera lobby del fashion italiano a sette anni dalla nascita
La notizia non è che SmI lascia Confindustria Moda, informazione che ieri sera circolava già parecchio alla cena di apertura di Pitti Uomo 105, alla villa di Poggio Imperiale da dove un tempo uscivano “rifinite” le fanciulle bennate e ora sbarcano anche i catering. La notizia è che, ritirandosi dall’associazione delle imprese della filiera, Sistema moda Italia – la più importante di una federazione che ne raggruppa oltre 60mila - mette a rischio l’esistenza stessa di Confindustria moda.
Il braccio di ferro innescato dal presidente di SmI Sergio Tamborini, manager di Ratti, per rendere sempre più visibile l’ associazione che governa e, par di capire, la propria persona, avrà probabilmente ragione di un progetto nato quasi otto anni fa, dopo un intenso lavoro da parte del presidente dell’epoca, Claudio Marenzi, di concerto con Matteo Renzi e l’allora ministro dell’economia Carlo Calenda, perché il sistema della filiera della moda-abbigliamento-accessorio, molto frammentato, lavorasse di concerto e di squadra, presentandosi anche in sede europea, dove già il peso dell’industria italiana, fatta di eccellenza e non di grandi numeri, è piuttosto relativo, in formazione coesa. Poi, si potrebbe osservare che il lobbysmo di cui doveva essere espressione non sia mai stato davvero messo in pratica e che solo la parte dedicata alla formazione abbia funzionato davvero, ma un decennio può essere davvero un tempo minimo necessario per uniformare esigenze, strategie e processi non sempre univoci, e quel decennio non è ancora trascorso. Il momento scelto da Tamborini non poteva essere dei peggiori.
In questo momento gli altri associati, da Assocalzaturifici che sta per affrontare una nuova elezione (molti sperano che Giovanna Ceolini potrà godere di un secondo, pieno mandato), a Anfao che pure raggruppa le imprese di un settore sempre forte come quello dell’occhialeria, fino ad AIP, la pellicceria, che a dispetto del recupero del comparto vintage vive una profonda crisi, devono infatti fare i conti con un anno che si prospetta difficile. La lettera inviata da Tamborini ai suoi associati e a Confindustria ieri mattina, pur nel tono generale sibillino, indica profondi malumori e, in buona sostanza, una decisione assunta già da tempo: “Il Comitato di presidenza ha deciso di esercitare il diritto di recesso di Sistema moda Italia da Condindustria Moda con effetti a partire dal 31 dicembre u.s. Dal 1° gennaio 2024 sono venuti quindi a cessare tutti i rapporti di Sistema moda Italia e Confindustria moda e Sistema moda Italia non sarà più tenuta al rispetto degli obblighi e dei vincoli contenuti nello statuto e nel regolamento attuativo di Confindustria moda, attualmente in vigore. A partire dal 1° gennaio sono stati resi operativi in Sistema moda Italia i servizi dell’ufficio relazioni industriali e Formazione, con a capo Carlo Mascellani, e dell’ufficio legale con a capo l’avvocato Danila Passantino”.
Anche quest’ultimo passaggio non è irrilevante: indica che dall’ufficio studi di Confindustria moda, finora molto attivo e ottimamente gestito, verrà a mancare una componente importante, e cioè che SmI condurrà le proprie ricerche, utilissime, in autonomia, (come peraltro già fa, ma fino ad oggi offrendo sempre il proprio supporto alla causa comune). A seguito dell’uscita di SnI da Confindustria Moda, di cui era espressione, sarà costretto a dimettersi il presidente, Ercole Botto Poala, uomo e imprenditore tessile di visione, e Annarita Pilotti ne assumerà le deleghe. L’assemblea di ratifica si terrà domani. Se Confindustria moda dovesse naufragare, sarà l’ennesima dimostrazione che il “particularismo” italiano non può essere superato e la compattezza e la forza di una strategia comune le sfuggono. No, non sappiamo fare squadra.