“Riaccendere gli altoforni”. I sindacati non si rassegnano a una mini Ilva con cassa integrazione a vita

Annarita Digiorgio

Chi acquista gli impianti a contratto scaduto? Una norma inserita in un decreto del governo Gentiloni permetterebbe di risolvere questo problema. Rimarrebbero quelli più importanti, ossia il piano finanziario, industriale e occupazionale

Taranto. Chissà se forse oggi smetteranno di chiamarla “ex Ilva”. Tecnicamente, in tutte le carte dei ministreri e dei tribunali, lo stabilimento di Taranto non ha mai cambiato nome: non è mai stato “ex”. Come pure “Ilva” (in amministrazione straordinaria) è ancora a oggi il nome della proprietà degli impianti, sotto sequestro. Acciaierie d’Italia, la società con Invitalia, come già ArcelorMittal, è solo affittuaria degli impianti che gestisce con fitto di ramo d’azienda fino a maggio 2024, quando scadrà il contratto di fitto e dovrà acquistarli. Questo sarà il primo problema che dovranno affrontare il governo e il team legale incaricato da Invitalia: se l’accordo con il socio di maggioranza è saltato, chi acquista gli impianti a contratto scaduto?

 

La questione non è secondaria alla luce di una condizione che ha fatto notare ieri Carlo Calenda: esiste una norma inserita in un decreto del governo Gentiloni, varata prima dell’assegnazione, che prevede in caso di inadempienza dell’affittuario, che gli impianti tornino all’amministrazione straordinaria. Questa nota, evidentemente non conosciuta dall’attuale governo, permetterebbe di liquidare l’attuale società, e, senza incorrere in una seconda amministrazione straordinaria, passare tutto a quella già esistente. Risolvendo tantissimi problemi. Per lo meno dal punto di vista societario. 

    
Rimarrebbero quelli più importanti, ossia il piano finanziario, industriale e occupazionale, su cui hanno le idee chiare due sindacalisti metalmeccanici nazionali: Rocco Palombella, segretario generale Uilm, e Valerio D’Alò, segretario siderurgia della Fim. Entrambi di Taranto, e anche questo non è ininfluente: i sindacati metalmeccanici hanno messo ai loro vertici nazionali lavoratori che quell’azienda la conoscono bene. Mentre oggi, dopo anni di silenzio, tutti tornano a parlare di Ilva senza aver mai visto un coils, e senza spiegare, come per esempio fa il ministro delle Imprese Urso, cos’è un’acciaieria green. Se il ministro dovesse dirlo anche al tavolo giovedì prossimo, Palombella ha già pronta la risposta: “Quando iniziano i lavori per riaccendere Afo5?”. Palombella, parlando con il Foglio, parte dalla cassa integrazione straordinaria concessa dall’allora ministro del Lavoro Orlando, che la Uilm non firmò. Ormai è quella la soluzione che pensano di proporre tutti, con 5 mila cassintegrati a Taranto solo per Ilva, più i portuali, l’indotto e le altre aziende. Ogni anno la rinnovano, e mai nessun ricollocato. A Taranto l’ufficio di collocamento è chiuso da mesi per problemi strutturali, e le amministrazioni comunale e regionale anziché occuparsi di questo, pensano di sedersi al tavolo con Mittal. “Io me lo ricordo quando il sindaco Melucci ed Emiliano con accanto Lucia Morselli dissero che quello era il giorno più felice della loro vita” dice Valerio D’Alò. “E  mi ricordo quando venne Conte in Ilva con Morselli, e c’era pure qualche sindacalista che applaudiva”. Per il sindacalista della Cisl la cassa integrazione a vita è la morte dei lavoratori, per Palombella della Uil lo è lo spegnimento di un altoforno. Entrambi parlano di una gestione a tempo da parte dello stato. Pur sapendo che sotto gli umori di magistratura, enti locali e politica è difficile che nuovi privati si affaccino

  
Secondo Palombella non è stato sbagliato darla a Mittal nel 2018, che ha vinto una gara offrendo meno esuberi e più investimenti. L’errore è stato commesso dopo, quando il governo Conte e il Pd, per evitare di gestire la situazione in prima persona, hanno concesso a Mittal tutele, garanzie e potere assoluto, consentendo di deconsolidare il ramo. I sindacati non sono disposti ad accettare una mini Ilva, come Confindustria paventa oggi. Quell’impianto si mantiene in equilibrio solo rispettando gli 8 milioni di tonnellate di produzione, facendo ripartire gli altoforni e i laminatoi fermi da anni. Il famoso 12 agosto 2012, quando i sindacati scesero in piazza a Taranto contro il sequestro degli impianti, e le associazioni ambientaliste piombarono contro la manifestazione sindacale, Palobella e D’Alò erano in piazza. In questi anni di duri attacchi, solo i sindacati metalmeccanici hanno difeso la produzione, contro politici e attori. Cosa vuol dire per un metalmeccanico di Taranto sentirsi chiamare assassino, mentre i tuoi figli vanno a scuola in città? “Finché non avrò messo al sicuro fino all’ultima famiglia – dice Valerio D’Alò –  dirò che ne vale ancora la pena”.

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