Presidio dei lavoratori Ilva davanti a Palazzo Chigi - foto Ansa

Il confronto

Ilva in amministrazione straordinaria: il remake di un brutto film

Annarita Digiorgio

La prospettiva di un accordo consensuale è disprezzata da ArcelorMittal, e si anticipa un epilogo simile al fallimento del 2015. La storia si ripete, con il governo impegnato in prestiti ponte, crediti insoluti e l'incerta sorte degli impianti

“Ma i sindacati come fanno a essere contenti della seconda amministrazione straordinaria?”, si chiede una figura autorevole della gestione Ilva. Pur di vedere l’ad Lucia Morselli fuori dallo stabilimento preferiscono che si spenga. Le ragioni intrinseche sono legate al potere che per anni i delegati hanno esercitato nei reparti, e i loro referenti nei partiti che segnalavano consulenze e assunzioni. C’è una frase del film nelle sale “Palazzina Laf” di Michele Riondino che, tradotta dal tarantino, dice “è cambiata la musica, sindacà”. Sta a indicare la perdita di potere dei rappresentanti sindacali con il passaggio da Italsider ai Riva. Cosa che è aumentata esponenzialmente con ArcerorMittal. Ormai i sindacalisti ammettono che “si stava meglio con i Riva”. Non a caso, la sigla più dura verso la proposta di amministrazione straordinaria è stata la Fiom, che è il sindacato meno rappresentativo in Ilva. La scelta di insediare in Ilva un’altra amministrazione straordinaria, e quindi il secondo fallimento pilotato, mentre è ancora in corso la prima (proprietaria degli impianti) è una scelta ascrivibile al ministro delle Imprese Adolfo Urso, già da un anno. Oggi il privato sarebbe disposto a cedere su tutti i fronti, pur di addivenire a una trattativa consensuale. Soluzione che, in vero, sollecita anche chi, espressione del pubblico, in questi anni di gestione ha sempre lavorato per trovare un punto di incontro tra le parti.
 

Si sta rivivendo esattamente lo stesso film del 2015. Con una differenza: questa volta si sa già come andrà a finire. Perchè ai crediti non riscossi dai creditori, alla cassa integrazione a sistema e ai miliardi pubblici da buttare dentro, si aggiungerà il definitivo spegnimento degli impianti. Sono più di 19 mila le istanze presentate dai creditori all’amministrazione straordinaria del 2015, per un ammontare di oltre 5 miliardi di crediti mai versati. Per assurdo, a oggi gli unici rimborsati da Ilva in As sono i residenti del quartiere Tamburi che hanno avuto diritto al risarcimento per gli appartamenti deprezzati. Tutti gli altri (fornitori, banche, indotto) sanno che non vedranno un centesimo: “Un bidone di stato”. 
 

E un altro se ne prepara. Solo le ditte di Taranto, circa 145, sono creditrici di Acciaierie d’Italia per 120 milioni. Non è un caso che oltre l’80 per cento, non sentendosi tutelato, è uscito da Confindustria. Il giorno in cui il governo ha rotto con Mittal, le banche gli hanno bloccato gli anticipi. Ieri le aziende fornitrici hanno bloccato la statale Appia finché Urso non le ha incontrate, senza però dare alcuna rassicurazione. Il ministro ha scaricato tutte le responsabilità tutte sulla  Morselli. Difficilmente si potrebbe assicurare loro una garanzia pubblica sul credito, generando una norma contro cui gli insinuati al passivo del 2015 si appellerebbero. E a quel punto i 5 miliardi del “bidone” da coprire, si aggiungerebbero agli altri 5 necessari per il rilancio dello stabilimento

 

 

L’unica cosa che verrà garantita alle aziende dell’indotto è la Cassa integrazione straordinaria (Cigs) “senza soluzione di continuità” anche per i loro dipendenti, in aggiunta a tutti i diretti. Qualche sindacalista ha accolto con giubilo la dichiarazione del ministro del Lavoro Marina Calderone che ha dichiarato ancora valido l’accordo sindacale del 2018 sul rientro dei 1.800 lavoratori rimasti in Cigs in as (e che hanno integrazione salariale dell’80 per cento più alta di quelli di Acciaierie d’Italia). In realtà vuol dire che finiranno tutti nella stessa Cigs, perdendo l’integrazione.
 

La caratteristica più importante  delle amministrazioni straordinarie è che hanno i bilanci omissis. Di Ilva in As dal 2015 sappiamo solo che si è finanziata con almeno 2 miliardi, di cui uno sequestrato ai Riva e l’altro con prestiti ponte tra banche e Cdp. Il governo ha annunciato  un altro prestito ponte da 320 milioni di euro. La nota immediata della Commissione europea (“Spetta allo stato membro valutare se una misura specifica comporta aiuti di stato e se deve essere quindi notificata per la valutazione preventiva”) non fa presagire nulla di buono. E capitani coraggiosi disposti a metterceli non ce ne sono. Negli anni di gestione diretta dell’amministrazione straordinaria fino al 2018 non solo Ilva ha perso redditività, liquidità e i contribuenti  miliardi di euro insieme ai fornitori, ma sono stati gli anni in cui è iniziato il dimezzamento della produzione, senza che i commissari realizzassero il piano ambientale.

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