il colloquio
Il dietrofront di Intel in Veneto “è una sconfitta nazionale”. Parla Carraro (Confindustria)
Il colosso americano era pronto a investire 4,6 miliardi a Vigasio: alla fine ha deciso di concentrarsi su Germania e Polonia. “Serve una regia da Roma per definire un terreno imprenditoriale attraente”, dice il presidente regionale di Confindustria. Ora la regione cerca un piano B
Doveva essere “la Silicon Valley del Veneto”, parola di Luca Zaia. Doveva essere la riscossa nostrana del microchip, inventato in origine dal vicentino Federico Faggin. E soprattutto, doveva essere un’iniezione di capitale e volano occupazionale da capogiro: 4,6 miliardi di euro e 1.500 posti di lavoro destinati da Intel alle fabbriche specializzate di Vigasio, nel Veronese. Invece niente. Ambizioni in frantumi. È bastata la dichiarazione di Pat Gelsinger, amministratore delegato della multinazionale americana, che a Davos in questi giorni ha gelato i potenziali partner italiani: “Siamo focalizzati sugli stabilimenti in Germania e Polonia”. Spiace. Questione di incentivi, che gli altri paesi sono riusciti a rendere convincenti per l’imprenditoria high tech. Noi semplicemente no.
“Era un progetto di rilevanza tale che va inquadrato come sconfitta nazionale”, spiega al Foglio Enrico Carraro, numero uno di Confindustria Veneto. “Nella shortlist dell’azienda c’era anche il Piemonte, oltre alla nostra regione. È filtrato entusiasmo per lungo tempo. Poi qualcosa si è rotto. Ma sarebbe sbagliato dedurre che Intel ha scelto un’altra destinazione al posto dell’Italia: l’industria polacca tratta componentistica diversa”. Secondo Carraro ha giocato un ruolo decisivo il Chips act: uno statuto federale firmato da Biden nel 2022, con 36 miliardi di sussidi finalizzati a promuovere la produzione di semiconduttori negli Stati Uniti. Compresi i wafer per microchip che sarebbero spettati a Vigasio: “Intel ha recepito il segnale”. La Germania non è stata da meno. Quest’estate Reuters scriveva che a fronte dei 30 miliardi stanziati dalla multinazionale per gli impianti di Magdeburgo, Berlino ne ha avallati 10 in contributi pubblici. L’Italia, invece? “Non abbastanza. Per quanto sia eccessivo incolpare il governo Meloni di aver perso il business, i primi accordi si stipularono nell’euforia della stagione Draghi e i cambi di esecutivo possono aver raffreddato gli animi. Ma più che un problema politico ne intravedo uno strutturale: manca un’agenzia nazionale che garantisca un perimetro imprenditoriale ben definito”.
Al Veneto si riconosce la buona volontà, “soprattutto da parte del presidente Zaia che ha tenuto in piedi la trattativa fino alla fine”. E adesso non si arrende: dopo la porta in faccia, il Doge ha chiesto ulteriori chiarimenti al governo per archiviare la questione Intel. Ma nel frattempo ha assicurato “l’esistenza di un piano B per Vigasio”. Il quotidiano locale Nordest Economia rivela che sarebbero già in corso i colloqui fra la regione e alcuni colossi asiatici del settore: Tsmc, Samsung, Sk Hynix. Da Taiwan alla Corea del Sud. Adolfo Urso, ministro delle Imprese e del Made in Italy, conferma al Corriere che “oltre a Intel il dialogo è aperto con altre realtà”. Di questo, il leader degli industriali veneti non si dice al corrente. Ma sottolinea che “la nostra economia continuerà a correre anche senza il valore aggiunto della maxioperazione americana: a fronte di questa esperienza, la regione sta valutando una legge sull’attrazione degli investimenti. Perché il sistema-paese non è pronto”.
Carraro insiste. L’occasione sprecata imponga la riflessione su ampia scala. “La prima cosa che interessa a un gigante come Intel è lo snellimento amministrativo: meno burocrazia, cunei fiscali stabili, pianificazione in tempi certi all’interno della legge. Cose che noi oggi non sappiamo fare”. E un cattivo ambiente chiama cattivi investimenti. “Società con fini più speculativi, che arrivano dall’estero per portare via brevetti e fanno chiudere le nostre fabbriche: per loro lo spazio c’è, purtroppo”. Ed è qui che deve intervenire il governo. “Ci vuole una regia centrale, che non tema le multinazionali a discapito del Made in Italy. Si tratta di beni non competitivi: l’elettronica di quel genere ci manca”. E i motori di Vigasio non possono permettersi di restare fermi un’altra volta.