Le contraddizioni
Andate in pac. Coldiretti contro le politiche green europee che sosteneva. Prandini si candida con FdI?
Dietro l'indirizzo più antieuropeo che antigovernativo della protesta da parte del presidente della Coldiretti vi sarebbe l'ipotesi della sua candidatura in quota Fratelli d'Italia alle europee. E così per Prandini ora la politica comunitaria non va più bene
Potrebbe avere qualche ragione chi sostiene che la Coldiretti è salita sui trattori italiani a Bruxelles per fornire una copertura al governo Meloni in difficoltà con le proteste che nei prossimi giorni minacciano di arrivare fino a Roma. C’è un’ipotesi che spiega come mai il presidente della principale associazione degli agricoltori italiani, Ettore Prandini, sta cercando di dare alla protesta un indirizzo più antieuropeo che antigovernativo: Prandini è uno dei possibili candidati di FdI alle europee. D’altronde è uno che respira politica da quando era bambino, dato che Ettore è figlio di Giovanni Prandini, già ministro della Marina mercantile e dei Lavori pubblici in due governi (Goria e De Mita). Insomma, un democristiano di ferro con aperture ai socialisti di Craxi.
Ma, sul tema delle proteste, c’è anche una questione di merito poco comprensibile: perché la Coldiretti sostiene la battaglia dei trattori, anche piuttosto aggressiva, contro la politica agricola comunitaria (Pac) che a suo tempo ha sostenuto? Per rendersi conto della palese contraddizione, basta rileggere l’introduzione al piano strategico della nuova Pac 2023-2027 spiegato dall’associazione agli iscritti in un documento di 100 pagine diffuso a febbraio 2022: “Sotto il profilo ambientale viene chiesto di accelerare ulteriormente lo sforzo verso la riduzione della chimica in agricoltura e degli antimicrobici negli allevamenti. Ma la grande novità – che come organizzazione abbiamo molto sostenuto – la ritroviamo dal punto di vista sociale, con l’introduzione, appunto, della cosìdetta condizionalità sociale che contribuisce a rendere il settore meno trasparente e meno permeabile alle pratiche di sfruttamento del lavoro e che pone la politica agricola in una posizione di avanguardia virtuosa rispetto a tutte le altre politiche”. Con queste parole, che portano la firma in calce di Prandini e del segretario generale Vincenzo Gesmundo, la Coldiretti sposò in pieno l anuova Pac che, non è un mistero, ha subìto la forte influenza del Green deal europeo, compresi i suoi eccessi ideologici nel forzare la mano alla transizione energetica fino a diventare poco sostenibile per alcuni settori produttivi.
Allora perché oggi la Pac non va più bene? Forse perché confondere le politiche d’indirizzo dell’Unione europea e le politiche nazionali per il settore (la legge di Bilancio, per esempio, ha abolito l’esenzione Irpef per la categoria) consente di confondere le acque mettendo tutto in un unico calderone. Chi conosce la piazza degli agricoltori giura che sta avvenendo un’insolita sovrapposizione tra simpatizzanti leghisti e di sinistra, un pezzo del governo e dell’opposizione che vanno a braccetto perché mossi da interessi comuni. Non è un caso che ieri pomeriggio si sia svolta una direzione piuttosto animata della Cia, la seconda associazione di categoria (164 mila iscritti contro i 340 mila della Coldiretti e i 130 mila di Confagricoltura) per arrivare a sintetizzare le (numerose) richieste a favore della categoria: vanno dal rifiuto di lasciare il 4 per cento delle terre incolte come condizione per accedere ai contributi europei al ripristino dell’esenzione Irpef, dagli sgravi fiscali e contributivi alla riduzione dell’esposizione degli imprenditori agricoli al caro tassi d’interesse. Insomma, un settore che in Italia è già molto più tutelato rispetto a Francia e Germania, chiede ancora più tutele.
Come se fosse un mondo a parte, esente dalle regole di mercato e di tassazione a cui tutte le altre imprese sono sottoposte. Non è un caso, poiché da un po’ di tempo si registra una crescente convergenza della Cia sul terreno della Coldiretti e un po’ tutte le organizzazioni cercano nuovi modelli perché spiazzate dal malcontento diffuso degli iscritti. Di certo, la protesta degli agricoltori sta infiammando tutta l’Europa e se i trattori sono arrivati fino al cuore delle istituzioni di Bruxelles vuol dire che qualcosa non sta funzionando come dovrebbe. Ma il rischio è che in questo frangente si metta in discussione tutto e che tutte le battaglie sembrino uguali, compresa quella per delegittimare la politica comunitaria che Prandini sta affiancando come se non l’avesse mai fatta sua.