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Soldi e futuro

Dialogo tra un esperto di IA e un economista su un futuro super produttivo, ma poco umanistico

Giuliano Ferrara

Lo studioso Erik Brynjolfsson si confronta con il capoeconomista del Financial Times Tej Parikh sull'intelligenza artificiale. Il punto è uno: se la usiamo per imitare l'intelligenza umana andiamo poco lontano, ma sarebbe un futuro migliore se fosse utilizzata per implementare le nostre capacità cognitive

Erik Brynjolfsson è un grande conoscitore dell’intelligenza artificiale (IA), studioso di Stanford. Tej Parikh è il capoeconomista del Financial Times. Discutevano ieri di una cosa che non si capisce bene con gli strumenti dell’intelligenza naturale, a meno di non avere specifiche competenze avanzate di matematica e computer science, discutevano appunto dell’IA. Il lettore comune capisce che l’IA si piazza, come rilevanza rivoluzionaria riguardo alla vicenda umana, tra la scoperta del fuoco e l’invenzione dell’elettricità, punto esclamativo; che può generare in un tempo brevissimo e in prospettiva di medio termine, comunque ravvicinata per gli standard di diffusione e incidenza delle tecnologie generaliste che abbiamo conosciuto in questi decenni, incrementi di produttività fantastici, a due cifre percentuali, dunque risultati decisamente superiori ai mezzi impiegati, lavoro capitali strumenti di produzione e tecnologie tradizionali. Robert Solow, premio Nobel per l’Economia appena scomparso, definì agli albori dei Novanta un famoso paradosso: “Vedo computer dovunque tranne che nelle statistiche sull’aumento di produttività”. Brynjolfsson, suo allievo, spiega che il paradosso dipendeva da come era strutturata la rete o web in rapporto ai dati di valutazione dell’economia dell’epoca, un rapporto poi cambiato e ora destinato, con l’IA, a un balzo in avanti prodigioso (fuoco ed elettricità, non c’è bisogno di aggiungere altro). Il motore a scoppio, le applicazioni dell’elettricità, i computer erano tecnologie generaliste, ma l’IA ha il tratto specifico di applicarsi alla struttura e alla fonte dell’intelligenza umana.
 

Si capisce anche che Alan Turing, il genio leggendario della codificazione, puntava a una macchina che non fosse per potenza distinguibile dall’intelligenza umana. Ma l’IA supera quello schema od obiettivo, e genera la possibilità di un accrescimento delle facoltà dell’intelligenza umana. Lo studioso di Stanford fa un esempio: le tecnologie generaliste come Google possono radunare una serie di miliardi di dati impossibile da aggregare per una mente umana (memoria) ma l’IA può sintetizzare un miliardo di libri e comprimere la sintesi a una misura accettabile (intelligenza), e sono due cose diverse. I pipistrelli collocano le cose per via di suoni, le scimmie possono avere una memoria a breve superiore alla nostra, l’IA modifica in queste direzioni inaudite, proprie anche del regno animale, le facoltà tradizionali dell’intelligenza umana. È un Superuomo e un Superanimale insieme (la metafora è di chi scrive, non certo dello studioso rigoroso di Stanford e del suo interlocutore del Ft).
 

Detto questo, e molto moltissimo altro che tralascio, Brynjolfsson e Parikh vanno al dunque: se usiamo l’IA per imitare le funzioni dell’intelligenza umana, non andiamo lontano, aumentano invece la prosperità generale e la produttività di tutti i fattori dell’economia e della società e dei servizi e di molte altre cose se usiamo l’IA per aumentare le nostre capacità cognitive. Quando per scherzo, sulla scia della emersione mediatica della praticabilità dell’intelligenza artificiale generativa con la piattaforma ChatGPT, abbiamo chiesto ai lettori di individuare nel giornale un articolo scritto non da un giornalista, più o meno umano, ma da una macchina intelligente, il nostro test era appunto sulla capacità imitativa dell’IA. Invece qui si propone ben altra sperimentazione, nel corpo dell’economia produttiva del XXI secolo. E si predicono una rapidità di diffusione e una pervasività di questo nuovo strumento tecnologico incomparabilmente superiori a quelle di computer telefonini e altre diavolerie in rete.
 

Salvo il caso delle AI Hallucinations ovvero delle Allucinazioni da intelligenza artificiale. Si tratta non già di semplici errori, ma di distorsioni, deformazioni, inversioni di significato tra fatti e rappresentazioni (un cane scambiato per un gatto) che portano a informazioni false, i famosi fake alla base di tanto pensiero allucinatorio tipico anche delle intelligenze naturali (basti pensare al complottismo). Nella produttività aumentata si dovrà, nel giro di mesi e al massimo di qualche anno, includere risultati di molto superiori ai mezzi impiegati anche nel campo delle allucinazioni, nomen omen, il che è allucinante come processo veloce e pervasivo. C’è solo da sperare che, con l’aiuto di norme e controlli, l’aumento delle capacità cognitive non s’intrecci con quello delle percezioni e risultanze allucinatorie. In una discussione rigorosa tra studiosi della tecnologia e dell’economia questa irruzione di consapevolezza di tipo genericamente umanistico o letterario fa una certa impressione
 

  • Giuliano Ferrara Fondatore
  • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.