Inchiesta
Il potere di Coldiretti
La guerra alla “carne sintetica” e il sovranismo agro-alimentare: un’organizzazione in simbiosi con il ministero dell’Agricoltura. Di più: che detta la linea, fa nomine, comunica e mobilita. Anatomia del soft power di Coldiretti
Nella serie distopica Black Mirror c’è un episodio in cui, per ottenere la liberazione della principessa del Regno Unito, il primo ministro britannico è costretto dai rapitori ad avere un rapporto sessuale con un maiale in diretta televisiva. È il potere del ricatto.
Nella realtà politica italiana, nel 2013, è accaduto che la ministra dell’Agricoltura del governo Letta, Nunzia De Girolamo, si sia presentata in divisa gialla al Brennero per fermare i camion e controllare i prosciutti. È il potere della Coldiretti.
Nel primo caso, quello della fiction, il politico fa di tutto per evitare un’umiliazione del genere. Nel secondo caso, quello del reality, si presta volontariamente e con il sorriso a favor di telecamera. Se qualcuno, senza usare ricatti né violenza, riesce a far controllare i prosciutti su un tir a un ministro della Repubblica, allora vuol dire che può fargli fare quasi tutto. L’immagine della De Girolamo che, a differenza del pubblico nella serie britannica, all’epoca in Italia non scioccò nessuno, è una buona approssimazione di cosa rappresenti il dominio della Coldiretti sul ministero dell’Agricoltura. Una relazione che non ha pari: la Confindustria può solo sognare di avere la stessa influenza sul ministero delle Imprese, analogamente la Cgil sul ministero del Lavoro o Leonardo-Finmeccanica sul ministero della Difesa. Soprattutto perché prescinde dal singolo ministro e dallo schieramento politico a cui appartiene. Destra, sinistra o M5s non cambia.
Altro esempio. Arriviamo ai giorni nostri, alle manifestazioni degli agricoltori europei contro i governi e l'Unione europea contro i tagli dei sussidi e le politiche green. In Italia ci sono state proteste selvagge, con blocchi stradali e autostradali (in un caso, a Catanzaro, una persona è morta dopo un malore nel traffico paralizzato) e, nei vari di agricoltori autoconvocati ci sono state frange più estremiste che hanno bruciato in piazza la bandiera dell'Unione europea, per le sue politiche green, e anche quella della Coldiretti accusata di aver appoggiato la Pac (Politica agricola comune) della Commissione europea.
Di fronte ai blocchi illegali, alle manifestazioni violente, ai roghi e all’abbattimento di una statua a Bruxelles nella piazza davanti al Parlamento europeo dove c’era anche un gruppo della Coldiretti, il governo italiano – solitamente duro contro i metodi degli “ecovandali” – non ha espresso alcuna condanna. L’unico comunicato di censura è stato quello del ministro dell’Agricoltura, Francesco Lollobrigida, contro la bandiera bruciata. Quella della Coldiretti, però, non quella dell’Unione europea. “Considero sbagliato e ingiustificato ogni atto di violenza, compreso bruciare le bandiere delle associazioni agricole – ha dichiarato –. A Coldiretti si deve la battaglia contro il cibo sintetico che l’Italia sta guidando anche in Europa con risultati eccezionali”.
Tra il ministro e la Coldiretti c’è una simbiosi. Hanno lanciato insieme una culture war contro la “carne sintetica” approvando una legge che vieta una cosa già vietata e che diventerà inapplicabile non appena la “carne coltivata” verrà autorizzata dall’Efsa (l’Autorità alimentare per la sicurezza alimentare). Lo ha spiegato chiaramente la Commissione europea, che ha bocciato la norma italiana per aver violato la procedura di notifica. Ma Lollobrigida ha dichiarato che non conta, perché la sua legge è stata approvata per “scuotere le coscienze”. È, cioè, un manifesto ideologico: la legge-simbolo della destra e della sua concezione di “sovranità alimentare”. Ed è tutta farina del sacco della Coldiretti: è l’esito di una sua campagna politico-comunicativa che ha ottenuto il sostegno di tutte le forze politiche: a luglio 2022, in campagna elettorale, tutte le proposte della Coldiretti – tra cui il “no al cibo sintetico” – sono state sottoscritte da tutti i leader politici, da Letta a Meloni, passando per Conte e Calenda.
A prescindere da cosa hanno poi votato in Parlamento, prima delle elezioni nessuno se l’è sentita di rifiutarsi di firmare il pledge della Coldiretti. È questo il potere del coldirettismo, un’ideologia reazionaria con un’organizzazione moderna che detta la linea dei governi. La politica vive nell’illusione di poter prosperare sul consenso e sui voti dei milioni di iscritti alla più grande organizzazione di imprenditori agricoli d’Europa. Ma i ministri passano, la Coldiretti resta. E soprattutto esiste un legame, quasi patologico, e comunque senza pari in altri ministeri, garantito dalle porte girevoli che fanno passare i funzionari dal ministero alla Coldiretti e viceversa (il caso più recente è quello del capo di gabinetto di Lollobrigida, Raffaele Borriello, che prima era capo delle relazioni istituzionali della Coldiretti – ma gli esempi sono sterminati).
Il governo Renzi, con Maurizio Martina ministro, pensò addirittura di poter vincere il referendum costituzionale grazie alla Coldiretti, che garantì la mobilitazione per la raccolta delle firme in tutta Italia e si schierò per il Sì, in cambio di diverse agevolazioni fiscali (come lo sgravio Irpef ora non prorogato dal governo Meloni). Poi è arrivato Gian Marco Centinaio della Lega, con cui il rapporto è stato più complicato. Con Stefano Patuanelli il rapporto è stato ottimo, ovviamente, tanto che l’esponente del M5s – in dissenso dal suo gruppo – non ha votato contro il divieto sulla “carne sintetica”. Come ha scritto il Post, dopo le elezioni del 2022, mentre infuriava il totonomi del nuovo governo Meloni, venne chiesto a Centinaio della Lega se sarebbe tornato a fare il ministro dell’Agricoltura. “Avete sentito il discorso di Prandini (il presidente dell’associazione, ndr) alla manifestazione di Milano? Ha citato quattro o cinque volte Lollobrigida. E quindi se Coldiretti ha deciso, chi siamo noi per giudicare?”. Quella di Centinaio fu un facile profezia.
Ma su cosa si fonda l’influenza della Coldiretti sulla politica? Ci sono vari aspetti. Uno è sicuramente la capacità di mobilitazione, come si è visto in due recenti occasioni. La prima è stata la manifestazione a favore del governo, sotto Palazzo Chigi, per l’approvazione del divieto alla “carne sintetica”, dove il presidente delle tute gialle Prandini è arrivato ad aggredire fisicamente il segretario di +Europa Benedetto Della Vedova. L’altra è la manifestazione a Bruxelles, dove Coldiretti ha portato centinaia di giubbe gialle, riuscendo a ribaltare una protesta nata dal basso dagli agricoltori contro alcune decisioni del governo (vedi l'abolizione dello sgravio Irpef) e contro la stessa Coldiretti, in una manifestazione a sostegno del governo Meloni ed esclusivamente contro l’Unione europea. La mobilitazione è una leva più potente del voto. Perché in realtà ora nessuno, neppure la Coldiretti, riesce a spostare pacchetti di voti, come dimostra la volatilità delle scelte elettorali. Ma con i partiti così fragili, la capacità di mobilitare è una leva formidabile, visto che la politica è terrorizzata dall’ipotesi di avere i trattori in piazza.
Anche perché, a fianco all’organizzazione, la Coldiretti ha un forte capacità comunicativa. Diffonde, cioè, un messaggio e una visione del mondo. La difesa del piccolo contadino, la tutela del cibo italiano, la salvaguardia del made in Italy, la lotta contro le multinazionali e l’invasione di prodotti esteri. A differenza delle altre associazioni di categoria, che si interfacciano prevalentemente con le controparti e le istituzioni, la Coldiretti parla direttamente alle persone comuni. Lancia continui allarmi contro le importazioni, contro la chimica, contro gli Ogm, contro le farine d’insetto e la “carne in laboratorio” che attentano alla “dieta mediterranea”. Parla di un mondo rurale che non esiste più e arriva direttamente ai consumatori con i mercati di Campagna Amica e ai cittadini attraverso i media generalisti. Ha una comunicazione molto efficiente, che sforna in continuazione comunicati stampa – spesso pieni di notizie infondate e numeri sballati – che però vengono pubblicati acriticamente dai media generalisti, come se fossero note dell’Istat o della Banca d’Italia.
Ma a questa narrazione bucolica e a una cultura un po’ reazionaria, Coldiretti unisce uno spirito pragmatico ed elementi di forte modernità. Sulla comunicazione abbiamo detto. L’associazione, ad esempio, pur attaccando costantemente le multinazionali, non si è fatta alcun problema a stringere un accordo commerciale con McDonald’s: “McDonald’s rappresenta l’italianità, le nostre eccellenze, la nostra biodiversità…”, ha detto il presidente Prandini. Ha creato Filiera Italia, un’alleanza tra imprese agricole e industria trasformatrice. Gestisce i consorzi. È diventato un importante soggetto economico-finanziario, come ha raccontato nel dettaglio Filippo Santelli sul Venerdì.
La Coldiretti, in sostanza, svolge un ruolo che va al di là della rappresentanza classica. Fa nomine, comunicazione, advocay, mobilitazione, lobbying, politica, business. Negli ultimi anni ha, probabilmente, assunto un ruolo persino più importante della “Bonomiana”, ovvero della Coldiretti della Prima Repubblica fondata e gestita per decenni da Paolo Bonomi. Quella parabola, dal Dopoguerra a inizio anni Ottanta, l’ha raccontata lo storico Emanuele Bernardi nel libro La Coldiretti e la storia d’Italia (Donzelli). L’associazione fondata da Bonomi, che per il piglio e l’intuizione è stato una sorta di Enrico Mattei rurale, ha avuto un ruolo determinante nell’organizzare il “partito dei contadini” in funziona anticomunista, ma con una forte spinta conservatrice a difesa del vecchio mondo rurale e della piccola proprietà contadina che rende ancora poco produttiva l’agricoltura italiana. La Coldiretti è stata un importante serbatoio di voti e un’anima profonda della Democrazia cristiana, almeno fino al declino di entrambi, travolti da Tangentopoli la Dc e, in contemporanea, dal fallimento di Federconsorzi la Coldiretti.
Solo che la Coldiretti ha avuto una rinascita con il suo secondo padre-padrone, Vincenzo Gesmundo, segretario generale dal 1998, che di volta in volta – in base alle stagioni politiche – cambia il frontman: ora il presidente è Ettore Prandini, figlio del politico democristiano Giovanni, più volte ministro negli anni Ottanta. La Coldiretti di Gesmundo, però, nonostante l’inevitabile declino del settore agricolo rispetto al pil italiano, ha un ruolo più centrale della Bonomiana. Mentre quest’ultima era strettamente legata, e in una certa misura subordinata e controllata dalla politica (ovvero la Dc), la nuova Coldiretti è sopra la politica. Tutta la politica. Perché ai movimenti politici e ai partiti liquidi, la Coldiretti offre un’infrastruttura fatta di: comunicazione, mobilitazione, proposte legislative e una narrazione trasversale che piace alla sinistra slow-food no-global e chilometro-zero come alla destra sovranista no-Ogm e protezionista. Tutto in cambio di una co-gestione del settore. Un pacchetto all inclusive che per partiti e politici che non hanno idee e non vogliono avere problemi è molto allettante.
Ma qual è allora il problema di questo modello, moderno e reazionario, a suo modo efficiente? È che molto spesso intraprende battaglie anti-moderne, dannose per il paese e per l’agricoltura stessa. Pensiamo solo agli Ogm. Quella legge reazionaria, che da decenni limita la libera impresa e la ricerca scientifica, è stata fortemente sostenuta dalla Coldiretti, che ora chiama la carne coltivata “cibo di “Frankenstein” esattamente come faceva con gli Ogm, seguendo la stessa logica reazionaria e la medesima comunicazione terroristica. E così oggi l’Italia importa ogni giorno 10 mila tonnellate di soia ogm, venduta peraltro nei consorzi Coldiretti. Queste posizioni sono dannose per gli stessi agricoltori. Non a caso, ora, dopo aver perso venti anni, la Coldiretti è favorevole alle nuove tecniche di miglioramento genetico (Tea - Tecniche di evoluzione assistita). E la politica, al solito, segue: le stesse forze sempre contrarie agli Ogm, sono oggi favorevoli alle Tea usando gli argomenti opposti. Cos’è cambiato? La posizione della Coldiretti.
Quando era in discussione l’accordo di libero scambio tra Europa e Canada (Ceta), la Coldiretti riuscì a organizzare una “coalizione anti Ceta” che univa tutto lo spettro politico – dalla giovane Elly Schlein a Giorgia Meloni, passando per Cgil e Verdi, Lega e M5s. Sebbene fossero favorevoli le altre associazioni di categoria, dalla Cia a Confagricoltura, compresi tutti i consorzi delle Dop e Igp, l’idea diffusa e dominante era che il mondo agroalimentare italiano era contrario perché era a rischio il Made in Italy. Ma in 5 anni di applicazione provvisoria del Ceta (non ancora ratificato dall’Italia) l’export italiano in Canada è aumentato del 36 per cento. Ora Coldiretti fa la stessa battaglia contro l’accordo Ue-Mercosur con il Sud America.
Coldiretti ora protesta contro le “politiche green” dell’Europa che vuole ridurre l’uso di agrofarmaci. Ma per anni, la Gesmundiana si è battuta ferocemente – e con argomenti spesso falsi – per mettere al bando il glifosato, il più efficace ed economico erbicida che l’Europa ha continuato ad autorizzare. Per fortuna degli agricoltori, la Coldiretti non l’ha spuntata.
Quando in Puglia fu trovata la Xylella, ovvero la più grande catastrofe per l’olivicoltura italiana, Coldiretti diede credito alle peggiori teorie del complotto. Anzi le alimentò. Fu proprio a causa di un rapporto Agromafie, pubblicato da Coldiretti, che venne diffusa un’assurda tesi cospirazionista secondo cui il batterio era innocuo e che diede corpo all’inchiesta della procura di Lecce che bloccò il piano di contenimento dell’Unione europea. La Coldiretti ha inserito in un suo comitato scientifico Cataldo Motta, il procuratore di Lecce che ha indagato gli scienziati del Cnr che hanno scoperto il batterio-killer e la malattia, sostenendo che – a suo avviso – gli ulivi sarebbero guariti con l’acqua. In quegli anni, quando l’epidemia poteva essere ancora contenuta, per la Coldiretti il pericolo per gli olivicoltori non era Xylella, ma un’inesistente “invasione” di olio tunisino autorizzata dall’Unione europea. A distanza di pochi anni il batterio è avanzato di centinaia di chilometri, ha seccato 20 milioni di ulivi e prodotto miliardi di euro di danni. Ora la Coldiretti chiede allo stato sussidi e indennizzi per gli agricoltori colpiti, mentre l’Italia ha sempre più bisogno di importare olio dall’estero perché il paese non è autosufficiente e la produzione è strutturalmente crollata.
In Italia si parla molto spesso del potere delle “lobby”, dai tassisti ai balneari, e poco del potere della Coldiretti. Che è molto di più di una lobby. Perché oltre alla difesa degli interessi corporativi produce una ideologia e mantiene un forte controllo sulla politica, con effetti molto più dannosi per il paese. L’agricoltura, la sostenibilità ambientale, la ricerca scientifica, l’innovazione industriale e il commercio internazionale sono, in fondo, sfide più importanti per il futuro del paese rispetto a taxi e ombrelloni.