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Redditi in aumento (anche in Italia). Non solo difficoltà per gli agricoltori europei
I trattori protestano in tutta Europa, ma sarebbe falso raccontare il settore solo attraverso le sue difficoltà. Il reddito degli agricoltori, anche grazie ai sussidi europei, è infatti da anni in crescita rispetto alla media
I trattori hanno invaso le strade di tutta Europa, in un’esplosione di proteste e rabbia covata da tempo. È una reazione che arriva da lontano: non appaiono esserci infatti ragioni immediate ad aver scatenato le manifestazioni.
Evidentemente il malessere di agricoltori e allevatori arriva da lontano, e poggia su una base comune. Il settore primario vive da ormai decenni un’insanabile contraddizione: vale circa il 2 per cento del Pil e poco più del 3 per cento dell’occupazione, ma senza i suoi prodotti non avremmo il cibo da portare in tavola. Ecco perché l’agricoltura è da sempre al centro dell’attenzione di ogni governo. Una delle prime funzioni dell’Unione Europea è stata proprio quella di fornire un supporto uniforme al settore agricolo e zootecnico del continente, attraverso la Politica Agricola Comune (Pac). Vi è destinato poco più di un terzo dell’intero bilancio comunitario attraverso aiuti diretti e indiretti, ben più di quanto giustificato dal peso economico della categoria. Gli Stati europei sussidiano la produzione agricola per scongiurare una carenza di offerta: chiunque sa quanto sia faticoso lavorare nei campi e nelle stalle - sveglia alle 5 per un lavoro che dura tutta la giornata fino a sera – e quanto poco possa rendere in termini economici. Senza i sussidi, in molti venderebbero fattorie e trattori e si trasferirebbero in città (come ha scelto la maggior parte della popolazione: nel 1982 le aziende agricole in Italia erano più di 3 milioni, oggi ne sopravvive un terzo). Ma aiuti così massicci possono anche avere un altro effetto: rendere dipendente il settore dai sussidi pubblici. Fino al 2027 l’Ue ha stanziato oltre 380 miliardi di euro del proprio bilancio settennale per la Pac, da cui dipende circa un terzo del reddito degli imprenditori agricoli. A cui vanno aggiunte le decine di miliardi di sussidi nazionali: il gasolio agricolo detassato e venduto a 1,1 euro al litro, esempio su tutti. Un sintomo di tale dipendenza sono le manifestazioni di queste settimane, reazione al tentativo degli Stati europei di ridurre gli aiuti al settore e soprattutto condizionarli all’introduzione di metodi produttivi più sostenibili.
Agricoltori e allevatori possono avere buone ragioni per protestare, almeno dal proprio punto di vista. Gli obiettivi di dimezzare l’uso di pesticidi e antibiotici e ridurre di un terzo i fertilizzanti proposti dalla Commissione europea ma non ancora approvati dal Parlamento Ue possono incidere su margini di profitto già decisamente bassi (solo il 2 per cento in Italia, secondo Ismea). Ogni categoria e lobby è libera di far valere le proprie ragioni, anche con metodi muscolosi. Ma senza travisare la realtà: sarebbe falso infatti raccontare il settore solo attraverso le sue difficoltà. Il reddito degli agricoltori – anche grazie ai sussidi europei – è infatti da anni in crescita rispetto alla media. Nel 2005 era appena superiore al 30 per cento dello stipendio da lavoratore dipendente, dieci anni dopo aveva superato il 40 mentre nel 2022 ha raggiunto i due terzi. Ancora sotto la media, ma quasi il doppio di un ventennio fa. Anche in Italia i guadagni sono in crescita: dall’inizio del nuovo Millennio al 2017 (ultimi dati Istat disponibili) il margine operativo lordo è quasi raddoppiato, anche grazie a un forte aumento della produttività. Più recentemente, nell’ultimo triennio, i produttori si sono avvantaggiati del forte aumento dei prezzi alimentari. Secondo Ismea “tra il 2019 e il 2022 nella fase agricola c’è stato un miglioramento” della redditività “mentre nella fase industriale e in quella distributiva è peggiorata”, dal momento che la grande distribuzione ha assorbito parte degli aumenti di prezzo per non scaricarli completamente sui consumatori (e perdere clienti). Allargando lo sguardo all’ultimo decennio, i prezzi di vendita all’ingrosso incassati dai produttori sono aumentati di oltre l’80 per cento, mentre i costi sono lievitati di circa la metà.
Ed è ovviamente infondata la paura di un’invasione di prodotti agroalimentari stranieri. Anzi, nel corso dell’ultimo decennio la bilancia commerciale alimentare italiana è progressivamente migliorata (2022 a parte), grazie a una vera e propria esplosione di voglia di Made in Italy all’estero. E se agricoltori e allevatori italiani vogliono proseguire su questa strada non possono ignorare la richiesta di maggiore sensibilità all’impatto climatico che arriva dai clienti di tutto il mondo, non certo solo da Bruxelles.