Conti e prospettive
Le banche italiane sono sempre più solide, ma per ora niente risiko
Unicredit, Intesa Sanpaolo, Mps, Bper e Banco Bpm: i primi cinque istituti del paese hanno realizzato 21 miliardi di utili nel 2023, accantonando oltre 4 miliardi di extraprofitti. Ma nonostante l’abbondanza di riserve di capitale, non sembrano intenzionate ad aprire una stagione di acquisizioni e fusioni
Unicredit, Intesa Sanpaolo, Mps, Bper e Banco Bpm: tutte insieme le prime cinque banche del paese hanno realizzato 21 miliardi di utili nel 2023. E tutte insieme hanno accantonato oltre 4 miliardi di extraprofitti. Se avessero dovuto pagare l’imposta, il gettito per lo stato, per queste sole cinque banche, sarebbe stato all’incirca di 1,5-1,7 miliardi. Avendo potuto scegliere una seconda opzione, hanno accantonato un ammontare pari a due volte e mezzo, 4 miliardi per l’appunto. Con i risultati registrati in questa settimana di “passione” (ultima, giovedì sera, è stata la milanese Bpm, con utili per quasi 1,3 miliardi, l’85 per cento in più rispetto al 2022) si possono fare un po’ di conti e di ragionamenti sul futuro delle banche italiane.
Complessivamente, il sistema esce molto rafforzato da un 2023 in cui i tassi d’interesse sono tornati ai massimi da 12 anni, e grazie alla “non tassa” del governo Meloni. E’ anche una buona notizia, visto che un sistema bancario solido contribuisce alla stabilità finanziaria del paese. Per di più tra le banche diventate più forti c’è inaspettatamente il Montepaschi di cui il Mef, approfittando del momento favorevole, starebbe meditando di collocare sul mercato un’ulteriore quota di capitale dopo aver incassato quasi un miliardo dalla precedente tranche. Già, perché la strategia di Palazzo Chigi oggi non è più quella di ricercare a tutti i costi un partner per Mps, uno sposo per accasare Cenerentola perché, nel frattempo, la povera ragazza scalza si è trasformata in una principessa, che ha qualche chance in più di decidere per il suo futuro. Così se c’è una parte del governo che medita di cedere, come anticipato da Mf, una nuova quota compresa tra l’8 e il 10 per cento, ce n’è anche un’altra tentata di fare di Mps il fulcro di aggregazione di un polo bancario pubblico-privato. Una opzione, comunque, non sembra escludere l’altra. In ogni caso, il Mef potrebbe conservare il controllo della banca senese anche con una partecipazione inferiore a quella attuale (39 per cento) che poi è il modello a cui starebbe pensando il ministro Giancarlo Giorgetti per realizzare il pacchetto di privatizzazioni di società strategiche come Poste: esercitare il controllo dello stato con un nocciolo duro di azioni e non con la maggioranza, grazie anche alle nuove norme contenute nel ddl Capitali sul voto potenziato.
Si vedrà, intanto quella che sta cambiando è la percezione di Mps da parte del mercato (negli ultimi sei mesi il titolo ha guadagnato il 44 per cento) e anche da parte delle altre banche. Ma non fino al punto da prendere in considerazione di unirsi in matrimonio con Siena. Nonostante i brillanti risultati conseguiti dal Monte sotto la guida di Luigi Lovaglio (2 miliardi di utili) e il tesoretto di capitale in eccesso (3 miliardi), l’ipotesi di un’integrazione con uno dei quattro maggiori gruppi non è mai apparsa così lontana come questa settimana in cui i vari ceo hanno spiegato al mercato le loro strategie. Il numero uno di Unicredit, Andrea Orcel (8,5 miliardi di utili), ha detto chiaramente di non vedere al momento in Italia opportunità che possono creare valore e che tendenzialmente preferisce utilizzare le risorse a disposizione per massimizzare la remunerazione degli azionisti. Carlo Messina di Intesa Sanpaolo (7,7 miliardi di profitti) ha spiegato che la banca ha raggiunto una dimensione limite in Italia. Unipol-Bper (1,5 miliardi) è impegnata nel consolidare la presenza nella Popolare di Sondrio dove ha raggiunto quasi il 20 per cento del capitale. E Banco Bpm, da tempo la principale “indiziata” per un matrimonio con Mps, continua a volere ballare da sola. Anzi, l’ad Giuseppe Castagna ci ha tenuto a rivendicare il ruolo di “terzo polo” della banca milanese. Insomma, nonostante l’abbondanza di utili e di riserve di capitale a disposizione, le principali grandi e medie banche italiane non sembrano intenzionate ad aprire una stagione di acquisizioni e fusioni. Niente risiko, insomma. E’ come se la posizione di solidità raggiunta, per meriti di gestione e per condizioni favorevoli di mercato, spingesse gli istituti, compreso il Monte, a coltivare più l’idea di un’evoluzione autonoma. E questa convinzione rischia di rafforzarsi nel 2024. Come fanno osservare alcuni analisti, le prospettive sono floride anche per quest’anno, considerando che i tassi d’interesse si manterranno elevati ancora per un po’. Viene solo da chiedersi se la legge sulla tassa sugli extra profitti sarà confermata anche per il 2024.