Il colloquio
“Sì alle Ngt per un'agricoltura sostenibile”. La svolta biotech di Legacoop Agroalimentare
"Dobbiamo far mangiare le tante persone, custodire le specie minacciate dal cambiamento climatico, ridurre l’uso dei pesticidi e garantire redditività. Non possiamo rinunciare all'innovazione nella genetica". Dice il presidente Maretti
Chi ha paura delle biotecnologie? Non gli agricoltori, neppure quelli della cooperazione, un mondo storicamente vicino alla sinistra. Legacoop Agroalimentare, che associa quasi 1.500 cooperative con circa 200 mila soci e un fatturato vicino ai 10 miliardi di euro, saluta con favore l’approvazione da parte del Parlamento europeo alle Nuove tecniche genetiche (Ngt), dette anche Tecniche di evoluzione assistita (Tea). “Si va nella direzione della sostenibilità – dice al Foglio Cristian Maretti, presidente di Legacoop Agroalimentare – con un percorso di ricerca genetica agraria che permetterà di avere piante più produttive, ma anche più resistenti ai parassiti e adattabili ai cambiamenti climatici”.
Non è un passaggio così scontato per il mondo agroalimentare, visto che decenni fa ai tempi della discussione sugli Ogm la battaglia fu feroce e l’opposizione strenua. Ora, rispetto a queste nuove tecniche, che differiscono in parte dai “vecchi” Ogm perché prevedono modifiche più puntuali sul genoma, l’apertura è molto ampia anche da parte delle organizzazioni – si pensi a Coldiretti – che erano no Ogm. “Ai tempi – dice Maretti – la discussione era molto forte e riguardava anche il ruolo delle multinazionali, ora queste nuove tecniche sono più soft e abbiamo problemi più grandi. Oggi con il cambiamento climatico sono un promettente strumento che può permettere di migliorare colture, selezionate in passato su un clima diverso, che oggi possono essere salvare solo con principi chimici o azioni che non è detto siano a buon mercato né ottimali rispetto all’ambiente”.
C’è, insomma, tra i produttori e anche nella cooperazione un approccio più laico. “C’è molta più consapevolezza nel mondo agricolo – dica il presidente di Legacoop Agroalimentare – l’unico ambito in cui c’è stata maggiore discussione è quello del biologico, perché richiama elementi di percezione dell’antico, anche se mi dicono che in Europa ci sono associazioni biologiche che hanno aperto alla possibilità delle Ngt. Forse ha poco senso dire di no a prescindere, bisogna guardare caso per caso. Se ho una coltura territorialemtne limitata, che posso risanare e proteggere distribuendo meno zolfo e rame, ci può stare una riflessione”.
C’è però un mondo ambientalista – si pensi a Legambiente, Greenpeace, Wwf e Slow food – che dice no alle Ngt. Con argomenti simili a quelli che in passato usava il mondo Coop, descrivendo gli Ogm come mostri tipo l’inesistente fragola-pesce. “Secondo me in quegli anni ci fu una combinazione negativa di diversi fattori, gli Ogm transgenici furono considerati di esclusivo interesse delle multinazionali, erano rivolti a colture estensive e si temevano rischi per la salute... tutto questo ha generato la paura del ‘cibo Frankenstein’, perdendo forse l’opportunità di una ricerca pubblica orientata al bene comune e non alla vendita di diserbanti. Ora l’approccio è più laico, anche in Coop c’è attenzione a non rischiare posizioni isolate”. Può essere l’occasione per ricucire il rapporto con il mondo della ricerca scientifica, che sulle biotecnologie si è sentita mortificata? “Me lo auguro sinceramente, speriamo che le Ngt siano un’innovazione importante. Il nostro obiettivo è far confluire conoscenze ed esperienze, quasi tutte le nostre cooperative hanno programmi di ricerca con partner universitari”.
Questo dibattito si innesta sulle proteste degli agricoltori contro i paletti per la transizione: è difficile pretendere di usare meno chimica se si deve rinunciare anche alla genetica. “Sono stati fatti passi in avanti inimmaginabili, una volta i prodotti si davano a chili mentre oggi a microgrammi. Dagli agricoltori alle multinazionali della chimica, tutti hanno seguito le richieste non tanto della politica ma dei consumatori. Ma non si può ridurre dall’oggi al domani del 50 per cento l’uso di agrofarmaci senza perdere quote di produzione rilevanti. Con alcuni tipi di colture, ad esempio miscugli di cereali non particolarmente stressanti, si potrebbe riuscire comunque a produrre 30-40 quintali per ettaro, ma il problema sarà la sostenibilità economica. Magari tra 10 anni, con l’innesco delle Ngt e di altre innovazioni, l’obiettivo sarà più alla portata. Il sistema agroalimentare italiano, per come è fatto, non potrà mai essere competitivo sui costi rispetto a paesi con estensioni più grandi. Dobbiamo perciò fare attenzione a queste nuove tecniche per ottenere il massimo valore aggiunto”.
Insomma, i problemi sono tanti e l’Europa ha bisogno di tante frecce nell’arco, tra cui le biotecnologie come le Ngt. “Abbiamo tanti obiettivi: far mangiare le persone che sono tante, farle magiare bene, custodire le specie che altrimenti con la pressione del cambiamento climatico potrebbero sparire, ridurre l’uso dei pesticidi, garantire redditività agli agricoltori. Tutto questo mentre in 40 anni abbiamo visto il clima cambiare radicalmente e senza sapere bene cosa capiterà nei prossimi anni – conclude Maretti –. Io non mi priverei di nessuna freccia, anzi spero che funzionino tutte”.