Creatività cercasi
Cosa può imparare l'Italia dalla recessione di Giappone e Regno Unito (e dalla crisi tedesca)
Il fatto che l’economia italiana riesca a limitare i danni e a non subire l’onda del rallentamento della Germania è un buon segno e riguarda la diversificazione dei rapporti commerciali. Qualche spunto per il 2024
Piccole recessioni, piccole crescite, classifiche buone per un titolino e via, qualche prova di forza e di resistenza da tenere in considerazione. A cadere ufficialmente in recessione sono due paesi importanti per l’economia mondiale, come il Regno Unito e il Giappone, ed è attesa al varco la Germania, la cui economia si è contratta nel 2023 dello 0,3 per cento rispetto al 2022 e alla quale tocca l’indicazione negativa della Commissione europea nelle sue previsioni economiche d’inverno. “La stagnazione della crescita nell’Eurozona nel quarto trimestre del 2023 – scrive la Commissione – è stata in gran parte determinata dalla contrazione della Germania”. Mentre, per le classifiche un po’ colorate, si può registrare il sorpasso in frenata dei tedeschi sui giapponesi, con il pil della Germania che va a piazzarsi al terzo posto nel mondo (in testa ci sono Stati Uniti e Cina) ai danni del Giappone.
Ha un certo rilievo che l’economia italiana, legata in modo molto intenso all’andamento di quella tedesca, riesca a limitare i danni e a non subire l’onda del rallentamento medio della produzione e dei consumi nel paese principale partner economico delle aziende italiane e principale mercato di sbocco di molti prodotti italiani. È il segno dell’avvenuta diversificazione dei rapporti commerciali, e questo è quasi scontato, perché la quota del commercio mondiale in carico alle aziende italiane resta sostanzialmente invariata ed è un dato particolarmente importante per rappresentare la vitalità del settore produttivo, capace di trovare nuovi mercati da aggredire. Per l’Italia ha contato la capacità di crescita inaspettata mostrata dal mercato del lavoro. È importante guardare alla produttività del lavoro nel settore privato, dove potrebbe nascondersi qualche dato migliore rispetto alla vulgata sulla bassa produttività italiana, mentre è dal settore pubblico (e particolarmente dalla Pubblica amministrazione chiamata alla prova del Pnrr) che potrebbe arrivare qualche altra sorpresa positiva.
Niente di travolgente, certo, ma una buona tenuta e la recessione evitata, che è già qualcosa nel difficile passaggio tra la metà del 2023 e l’inizio del 2024. E, ancora dal lavoro, una stagione contrattuale dalla quale dovrebbero arrivare aumenti apprezzabili, un passaggio che è visto bene anche dalla Banca d’Italia, dove non alligna in questa fase congiunturale il timore (fatto ancora proprio invece da Christine Lagarde e quindi dalla Bce) sul rapporto tra incrementi salariali e andamento dell’inflazione. La recente analisi dovuta al governatore Fabio Panetta ha tolto ogni dubbio sulla linea sostenuta dalla Banca d’Italia, di cui certamente ci sarà un’eco nel board della Bce.
Ancora una volta il Regno Unito è un caso a parte. Sono evidenti gli effetti della sconsiderata Brexit. La recessione è stata sancita dal dato peggiore delle attese del quarto trimestre del 2023, con un calo del pil dello 0,3 per cento. Aziende e famiglie hanno subìto la tenaglia dei costi aumentati, con gli effetti della Brexit che hanno aumentato le conseguenze negative del peggioramento mondiale dei mercati energetici e dei trasporti, e della stretta monetaria, con i tassi di interesse arrivati al 5,25 per cento, cioè il livello più alto dal 2008 (anno della grande crisi finanziaria). L’anno elettorale nel Regno Unito verrà fortemente segnato dai dati economici negativi, con la scommessa quasi senza quota per la vittoria dell’opposizione laburista guidata con solidità da Keir Starmer.
Il Giappone da anni sta nella condizione opposta, determinata da una politica monetaria estremamente espansiva (senza riuscire, però, a espandere un bel niente), e consumi interni che non si muovono, mentre la demografia rintocca in modo lugubre. Le previsioni europee sembrano concordare su un punto importante, indicando il 2024 come anno della frenata conclamata ma concedendo ampi spazi di recupero nel 2025. È uno dei segni colti anche dalle borse (e per l’Italia significativo anche un rilevante calo dello spread tra decennali italiani e tedeschi). Con i listini forti per l’attesa di tassi in calo (prima o poi anche Lagarde cederà) e una crescita non solo sufficiente a tirar fuori tutti dalla recessione ma anche basata su due elementi di forza: la riorganizzazione delle aziende (con la Germania leader in questo processo faticoso ma necessario) e il dispiegamento degli effetti dei vari Pnrr nazionali. L’economia europea ha retto allo choc energetico, alla prima vera fiammata inflazionistica da quando esiste l’euro, alla guerra ai confini. Mentre i paesi più deboli, tra cui l’Italia per l’esposizione del suo gigantesco debito, ben difesi dalla politica della Bce e dalla solidarietà europea, non hanno subìto la stessa micidiale pressione sperimentata nella crisi 2008-2011.