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Tavares story. Chi è il super manager di Stellantis che ha nel mirino la produzione italiana
La passione per i bolidi sportivi e uno stipendio fra i più alti nel mondo dell’auto. Si difende sostenendo di essere pagato per quel che vale. Il braccio di ferro con il governo e le politiche green dell’Ue
Sarà per quella faccia un po’ così, per quelle pieghe della bocca, per la magrezza del corpo, come un’acciuga pescata nell’Atlantico che bagna Lisbona dove è nato il 14 agosto 1958, ma Carlos Tavares starebbe bene in una tela di El Greco. Nervoso, sottile, senza fronzoli. Un asceta, sia pure a quattro ruote, non solo perché dopo Renault e Nissan ha guidato Peugeot e adesso l’intero gruppone Stellantis, ma perché quest’uomo severo, asciutto, molti fatti e pochi grilli per la testa, è travolto da una sola passione: l’automobile, a cominciare dai bolidi sportivi. Ha messo su una scuderia chiamata Clementeam Racing – da Clementine, il nome della prima delle sue tre figlie – che paga con i propri soldi come ha voluto precisare. Tale è sempre stato il suo amore che, anche quando viveva a Tokyo o a Nashville nel Tennessee, si sbatteva pur di apparire in tempo sulla griglia di partenza in Europa al volante di una Nissan da competizione, vice campione nel 2009-2010. Quando ha provato a venderla per 90 mila euro non ha trovato compratori; a lui invece, non è mai mancato chi gli versasse lo stipendio e che stipendio, una ventina di milioni di euro l’anno, uno dei più alti nel mondo dell’auto. Tavares ha sempre difeso strenuamente il suo guadagno sostenendo che viene pagato per quel che vale e lui vale, come nella réclame de L’Oréal. Asceta sì, dunque, ma con giudizio. E non sempre sincero.
Per rispondere all’accusa di favorire i francesi contro gli italiani, lanciate da Palazzo Chigi, ha replicato piccato: “Si dà il caso che io sia portoghese”. Vero, ma più di nome che di fatto. Il padre, contabile, lavorava per una compagnia francese, la madre insegnava la lingua di Molière, e lui ha studiato al liceo francese di Lisbona prima di prendere definitivamente il volo per Tolosa dove a 17 anni studia al liceo Pierre de Fermat. Il suo professore di fisica racconta quanto fosse deciso a primeggiare. Entra nella École Centrale d’ingegneria a Parigi, non prestigiosa come il Politecnico, ma istituita nel 1829 per formare giovani che amano la pratica più della teoria. Carlos, infatti, appena diplomato, a 23 anni viene assunto dalla Renault dove sale scalino dopo scalino.
Comincia a Renault, gli viene affidato il progetto Mégane. Il successo gli spiana la strada fino a portarlo al fianco del carismatico Carlos Ghosn
Il salto avviene nel 2002 quando gli affidano la direzione del progetto Mégane II, cioè la seconda generazione della monovolume, popolare vettura di gran successo anche se non è un’invenzione francese. Gli americani sostengono che si deve a loro quello che chiamano minivan, ma i giapponesi giurano che senza la Mitsubishi Chariot non avrebbe avuto nessun mercato di massa. In realtà a introdurre la prima monovolume è stata la Fiat, con la buffa 600 Multipla del 1960. E la svolta si deve all’architetto Mario Bellini che, invitato a New York dal Moma per la grande mostra del 1972 sul design italiano, presenta una vettura squadrata chiamata Kar-a-sutra. A ciascuno il suo, anche se è vero che, dopo una fallimentare Matra, è stata la Renault a sfondare, prima con la grande Espace poi con la più piccola Mégane. Il successo spiana la strada a Tavares fino a portarlo al fianco del carismatico Carlos Ghosn, il manager libanese-brasiliano che, grazie all’accordo con la Nissan, trasforma il gruppo automobilistico controllato dallo stato francese in un colosso transoceanico. Il 14 agosto 2013, spente le sue 55 candeline, Tavares dichiara in un’intervista: “In un certo momento, si ha l’energia e l’appetito per diventare numero uno. La mia esperienza sarebbe preziosa per qualsiasi produttore”. Ghosn non glielo perdona e chiede la sua testa: 15 giorni dopo, l’ambizioso portoghese rassegna le dimissioni.
Rimette in sesto il marchio Peugeot e quello Citroën, compra la sgangherata Opel e incrocia per la prima volta le armi con Sergio Marchionne
Non resta molto con le mani in mano perché l’anno successivo Robert Peugeot gli offre la guida del gruppo prostrato da anni di crisi e oberato di debiti. Una sfida che sembrava ai limiti del possibile, non per Tavares. Taglia tutto, costi e posti di lavoro, rimette in sesto il marchio Peugeot e quello Citroën dal quale tira fuori il brand DS, proprio quello dell’avveniristica Désirée Spéciale, l’auto siluro disegnata da Flaminio Bertoni e André Lefèbvre (la sigla pronunciata in francese déesse suona come dea), infine compera la sgangherata Opel, sempre in perdita da quando vent’anni prima era finita alla General Motors. Tavares raddrizza anche quello che gli americani non erano riusciti a gestire, riduce le perdite che ammontavano a sette miliardi di euro. E incrocia per la prima volta le armi con Sergio Marchionne che aveva tentato di prendere la Opel già nel 2009, ma si era messa di traverso Angela Merkel la quale non intendeva spendere nemmeno un euro per il piano di rilancio proposto dall’ad della Fiat. Ha riprovato nel 2012 a costo zero e s’è opposta la Gm: non voleva che Marchionne fresco di conquista della Chrysler crescesse ancora, così aveva stretto un accordo di collaborazione con la Peugeot. Infine nel 2017 Tavares battezza Psa il nuovo gruppo nel quale ingloba anche la Opel.
Tavares e Marchionne, due top manager così diversi. Il franco-portoghese è un uomo di prodotto come si suol dire, ama le auto non solo per guidarle nei rally, a Montecarlo o in Formula 3 (il suo ritmo è stato di almeno venti weekend all’anno), ne conosce le caratteristiche tecniche e produttive in ogni dettaglio, è in grado anche di ripararle. L’italo-americano era un grande gestore a tutto campo con una specializzazione nei conti e nella finanza. Anche lui amava le quattro ruote, ma soprattutto quelle della Ferrari che regolarmente gli sfuggiva di mano, sembra ne abbia fracassate più di Balotelli. Il Cavallino rampante con Super Sergio ha corso in borsa come un purosangue, non si può dire che abbia fatto lo stesso sui circuiti di Formula Uno. Tavares comunque non lo ha mai sopportato. E ha fatto di tutto per cancellarlo una volta impadronitosi della Fiat Chrysler. Grande grosso e tutt’altro che atletico Marchionne, sempre circondato dalle nuvole delle sue sigarette, una moglie e una compagna. Frugale, iperattivo, monogamo Tavares; vacanze in Portogallo dove si occupa delle sue olive, niente salotti, feste, serate all’opera. Una noiosa routine tutta lavoro e attività fisica. La moglie Armelle è la sua coach: jogging, bici, marcia, alimentazione parca ed equilibrata, niente fumo, dorme poco ed è capace di riposare ovunque, calcolando bene il tempo del sonno e della veglia. Già, il tempo. Lo padroneggia in modo millimetrico e confessa in una delle sue rare interviste che proprio lo sport automobilistico è “una scuola per la gestione del tempo oltre che una gran prova di sangue freddo e lavoro in equipe”.
Ghosn viene travolto dalla propria hybris e finisce malamente: nel novembre 2018 è stato arrestato dalla giustizia giapponese perché sospettato di aver nascosto entrate nelle pubblicazioni finanziarie della Nissan. Il mese successivo è incriminato per aver utilizzato i fondi aziendali per scopi personali. A Tokyo lo tengono sei mesi in gattabuia, poi ai domiciliari dai quali fugge negli ultimi giorni del dicembre 2019, per raggiungere il Libano dove non esiste un accordo di estradizione. In Giappone era diventato persino un eroe dei manga; ora è un latitante internazionale, mezzo mondo lo cerca e vuole farlo pagare per i suoi illeciti. Tavares assiste gelido e tira fuori dallo zaino il bastone di maresciallo. Alla Peugeot diventa il capo azienda più di successo finché la Renault nel 2020 non strappa Luca de Meo alla Volkswagen. Ebbene sì, a forza di circuiti il mondo dell’auto mette in circolo anche grandi manager in grado di mostrare tutto il loro ego. In Francia i giornali raccontano un Tavares dirigente duro, diretto, brutale persino, ma non arrogante con i sottoposti. Addio ai pranzi con i dirigenti tra salsette e vini buoni, solo insalate e acqua minerale. Il tutto più rapidamente possibile. Le sue riunioni sono registrate esattamente: 25, 30 o al massimo 40 minuti, nessuno spazio per discutere, tanto meno obiettare, gli ultimi cinque minuti sono per arrivare alle conclusioni. Lui ammette di essere “un maniaco nell’utilizzo del tempo”, ma dice che “quando è necessario io libero la parola”. Già; e quando è necessario? Se fa così con i capi figuriamoci con gli operai. Alla Fiat Chrysler ha rovesciato l’organizzazione del lavoro alla giapponese come quella introdotta da Marchionne a Pomigliano d’Arco, per tornare a una più rigida e fordista, introducendo la nuova piattaforma Peugeot adattabile a diversi modelli. Per essere sicuro che venissero seguite le sue direttive ha messo al comando dello stabilimento una manager francese, Pascale Chrétien.
Un’altra differenza è la politica. Marchionne sapeva essere politico, ma non era vicino a nessun politico di professione; Tavares si comporta come un impolitico, ma ha una lunga amicizia e frequentazione con l’ex primo ministro portoghese, il socialista José Sócrates. A Parigi è apprezzato da Emmanuel Macron, anche se si sono spesso scontrati sulle scelte ecologiche. Deve comunque ringraziare il presidente francese per aver evitato la fusione tra Fca e Renault che sarebbe stata vantaggiosa per il gruppo italo-americano il cui valore di borsa era superiore. Tavares lo ha denunciato apertamente e ha trovato orecchie sensibili nel governo, il quale ha poi assunto un ruolo chiave nell’assetto del gruppo Stellantis, come terzo azionista dopo Exor e Peugeot con oltre il 9 per cento dei diritti di voto. Sono stati i soci principali a consentirlo, quindi John Elkann e Robert Peugeot, ma Tavares ha ottenuto la posizione di numero uno e i pieni poteri per cinque anni. Formalmente scadrebbe nel 2025, molti sostengono che le sue spropositate brame non sono ancora appagate e prepara un colpo ancor più grosso: la conquista della Renault, una vera rivincita, da conte di Montecristo dei giorni nostri. A quel punto potrebbe anche uscire sul carro trionfale. Oppure sedere a lungo sul trono dell’auto europea. Il progetto è stato smentito da John Elkann. Non resta che attendere gli eventi. Certo è che ormai, dopo tre anni di imperio sembra chiaro che la Fiat Chrysler è stata ingoiata dalla Psa. Il prossimo passo è digerire il boccone a cominciare da quello italiano che non è il più grande, ma certo il più amaro.
Ha condotto una crociata contro l’ambientalismo duro e puro di Bruxelles: “Una pistola alla tempia per l’industria dell’auto”
Non è stata una fusione alla pari, nonostante il valore azionario dei due gruppi fosse equivalente (poco sopra i 20 miliardi di euro nel 2019), la Fca fatturava 114 miliardi di euro con un utile di 4,5 miliardi, la Psa rispettivamente 76 e 3,3 miliardi. Non solo, la Fiat Chrysler ha portato una dote strategica superiore perché ha aperto le porte dell’America, soprattutto Stati Uniti e Brasile, mercati in espansione, mentre in Europa si produce per sostituire le vecchie auto. Psa e Fca avevano una debolezza geoeconomica perché non contavano in Asia a cominciare dalla Cina, e una produttiva perché sono arrivati tardi all’elettrico. Due eredità che pesano sulla Stellantis. Marchionne non credeva che l’auto elettrica fosse un affare, resta famosa la sua battuta in California quando invitava a non comprare le 500 elettriche perché gli costavano più di quanto poteva incassare. Tavares ha condotto una vera e propria crociata contro l’ambientalismo duro e puro prevalso a Bruxelles, una posizione “amatoriale” l’ha definita e poi ha rincarato la dose: “Una pistola alla tempia per l’industria dell’auto”. Ha cercato di convincere Macron a seguire la linea pragmatica e prudente di Angela Merkel pressata dai suoi panzer industriali a cominciare dalla Volkswagen. Era l’ottobre del 2019, a dicembre il governo parigino ha approvato una legge draconiana imponendo un vincolo stringente sui nuovi veicoli: taglio delle emissioni di gas serra del 37,5 per cento dal 2021 al 2030. Alla Psa non restava che crescere o deperire. Una volta eletto presidente dell’Acea, l’associazione europea dei costruttori, Tavares non ha mancato occasione per lanciare avvertimenti sulle conseguenze sociali della riconversione elettrica. Ha stupito, quindi, il suo improvviso voltafaccia. “Noi siamo darwiniani”, ha commentato, solo i più forti sopravvivono e lui vuole essere tra quelli resi ancor più forti dalla selezione industriale. La transizione energetica va avanti a marce forzate anche se quest’anno stanno emergendo in tutto il mondo seri dubbi che rallentano le vendite. E’ probabile che Stellantis debba calibrare i propri piani, ma il progetto Dare Forward lanciato nel 2022 è stato confermato: tutti i nuovi veicoli dal 2030 saranno elettrici, totalmente o parzialmente, addio non solo al diesel dove la vecchia Peugeot aveva una posizione di assoluto rilievo, ma anche alla benzina, i motori a scoppio saranno un ricordo del Novecento. E l’Italia diverrà terreno privilegiato per questa riconversione a passo di carica.
I grattacapi non vengono solo dal governo Meloni che vorrebbe spingere Stellantis a produrre un milione di veicoli in Italia, circa 300 mila più di quelli attuali; ma anche dalla legge bronzea del mercato. Gli stabilimenti italiani sono in grado di costruire un milione e mezzo di pezzi, tra auto e furgoncini, quindi in media oggi lavorano al 50-60 per cento delle loro possibilità. Se continua così, alcune fabbriche dovranno chiudere. Tavares ha detto che Mirafiori e Pomigliano d’Arco sono in pericolo, le altre vanno ristrutturate, a Termoli invece dei motori verrebbero prodotte batterie (con un gran punto interrogativo). Quanti dei 43 mila dipendenti perderanno il posto? Il manager ha già avviato un ciclo di uscite “volontarie” persino negli Stati Uniti dove la produzione tira. Si salva per ora la Spagna. In Francia sta tagliando i contratti a tempo determinato, quelli non difesi dai sindacati. In un’intervista a Bloomberg ha detto che le auto cinesi, a cominciare da quelle elettriche che stanno sbarcando in Europa, hanno costi di produzione inferiori del 40 per cento. Recuperare il divario è impossibile. Tavares ha lanciato un aut aut: senza sostegni pubblici non c’è speranza. E’ come dire auto elettrica uguale zombi economico. Nessun governo, tanto meno quello italiano che batte cassa, potrà mai colmare quel fossato. Le schermaglie politiche e i roboanti proclami nascondono questa amara realtà: il 2024 sarà un anno di passione per Stellantis e per l’intera industria dell’auto. Una cura dimagrante è inevitabile; pane e acqua, anche l’insalata scomparirà dalla tavola apparecchiata da Tavares.