A Bruxelles
I misteri sul Pnrr che preoccupano l'Europa
Tra dati che non tornano e progetti che non partono. Perché il ministro Fitto farebbe bene ad ascoltare l’allarme europeo
La gestione a singhiozzo del Pnrr e il pantano in cui si è infilato da tre mesi il decreto legge “Pnrr 4” sta compromettendo la possibilità di rispettare le tappe del Piano e di completarlo entro giugno 2026. Il ministro per l’Europa e il Pnrr, Raffaele Fitto, continua a gettare acqua sul fuoco, sostenendo che “non c’è fretta” dopo aver via via spostato lui stesso, a più riprese, il termine per approvare il decreto legge a fine anno, a fine gennaio, a fine febbraio e ora a marzo, il tempo sta ormai scadendo. Dalla cabina di regia fissata per oggi, dedicata alla relazione semestrale sullo stato di attuazione del Piano, ci si aspetta la solita valanga di rassicurazioni, ma si spera che il governo colga l’occasione per aggiornare pubblicamente il dato della spesa effettiva.
Mentre ieri il vicepresidente della Commissione Ue, Valdis Dombrovskis, ha tuonato contro quelli – soprattutto in Italia – che sperano in un rinvio del termine del giugno 2026. “Cambiare le scadenze – ha detto – è questione molto complessa e una decisione che implica l’unanimità tra gli Stati membri, il passaggio al Parlamento europeo relativamente, per esempio, alle risorse proprie Ue. Invece di concentrarsi sulle scadenze, il focus andrebbe riferito all’attuazione dei Pnrr”. E il commissario agli Affari economici, Paolo Gentiloni: “Il Pnrr ha poco meno di tre anni di vita e per molti aspetti la seconda metà della sua vita sarà più impegnativa della prima, poiché gli investimenti raggiungono una fase critica nella loro attuazione”. Ma come stanno le cose? Ha ragione Fitto a dire che “non c’è fretta” o, invece, fretta c’è e si stanno superando soglie di non ritorno che ci porteranno a molti fallimenti nei prossimi 28 mesi?
Un affresco complessivo e qualche esempio aiutano a capire. Il decreto legge Pnrr 4 sta bloccando anche il decretone ministeriale “enciclopedico” del Mef che deve semplicemente (si fa per dire) riportare nell’ordinamento interno l’elenco dei progetti del nuovo Pnrr approvato dal Consiglio Ue il 24 novembre scorso. Mario Draghi e Daniele Franco, che avevano un Pnrr con cinque anni davanti, lo pubblicarono in Gazzetta ufficiale 23 giorni dopo il via libera Ue (dal 13 luglio al 6 agosto 2021), mentre Giorgia Meloni, Raffaele Fitto e Giancarlo Giorgetti sono ancora lì fermi, paralizzati su tutto, a tre mesi di distanza. Potrebbe sembrare una impuntatura della Ragioneria che invece ha una sua logica rigorosa. Via Venti settembre si rifiuta di pubblicare il decretone finché il decreto legge Pnrr 4 non sarà stato approvato e avrà chiarito aspetti decisivi: che fine fanno i progetti comunali stralciati da Fitto; quali singoli progetti di dettaglio vanno a riempire alcuni scatoloni programmatici inseriti nel nuovo Pnrr (Repower Eu, metropolitane, lotti ferroviari, rigenerazione urbana, tranvie, eccetera); se e quali altri progetti salvati dal nuovo Pnrr rischiano seriamente di finire fuori strada.
Alla Ragioneria cresce il tasso di inquietudine sulla scadenza di giugno 2026 perché è chiaro che il mancato rispetto dei termini rischia di avere un rinculo pericoloso sui conti pubblici. Quindi aspetta che Fitto parli fuori dei denti e dia una mappa realistica, esponendo le vere criticità dei singoli progetti. E vorrebbe parcheggiare i progetti comunali scartati da Fitto in una sorta di “riserva” utile qualora si presenti la necessità di sostituire altri progetti del Pnrr in ritardo. Perché quello che si è chiarito dal 24 novembre a oggi è che aveva ragione piena il presidente dell’Anci Antonio Decaro quando diceva che tutti quei progetti erano banditi o appaltati, più avanti di molti altri. I numeri ci dicono che nel 2023 i comuni hanno aggiudicato progetti per 12,9 miliardi e ne hanno banditi per 24. Quindi marciavano davvero. Quanto alla difficoltà di rendicontazione, oggi stazioni appaltanti ben più robuste, come Rete ferroviaria italiana, hanno difficoltà a rendicontare rapidamente lavori già effettuati nei mesi scorsi. Ma la difficoltà più grande con cui in pubblico nessuno sta facendo i conti è che senza il decretone enciclopedico del Mef non possono partire i tanti progetti nuovi inseriti nell’edizione Meloni-Fitto del Pnrr.
Il decretone Mef dà certezze alle stazioni appaltanti, conferma i progetti entrati nel Pnrr e consente a ogni singolo lavoro di essere cofinanziato, progettato, messo a gara, appaltato, messo in cantiere. Centinaia di progetti new entry del Pnrr stanno lì fermi ad aspettare, avendo davanti non anni, ma 24 mesi per arrivare al collaudo. Senza contare che quel primo semestre del 2026 sarà intasato di lavori e progetti al rush finale, che devono essere rendicontati, collaudati, liberati, messi in funzione. Un esempio aiuta a capire, anche se se ne potrebbero fare a decine di più pesanti, soprattutto scorrendo l’elenco di grandi e piccole opere che già annaspano. Il nuovo Pnrr ha destinato un altro miliardo di euro all’acquisto di autobus elettrici e non inquinanti per le città italiane. Ottima notizia visti i livelli di inquinamento di oggi. Peccato che le precedenti commesse del Pnrr alle industrie italiane hanno già saturato le linee di produzione. Inoltre, questi autobus hanno bisogno di almeno 24 mesi per essere prodotti, fra l’ordine e l’uscita dalla fabbrica, la messa in funzione, l’assegnazione alle aziende. Se l’ordine non parte fra oggi e domani, sarà impossibile rendicontare e collaudare quei bus entro giugno 2026. Salvo allungamento delle scadenze, certo. Ma su questo Dombrovskis docet.