Tra risiko e realtà
Chi sogna le costose nozze Unicredit-Generali
Le banche d’affari internazionali tornano a ragionare su un’operazione che sarebbe clamorosa: l’unione tra Unicredit e Generali via Mediobanca. Storie e intrighi di un risiko difficile ma non impossibile. Pronti, via: chi parte?
Pronti, partenza, via: chi sarà il primo ad alzarsi in piedi e a provare a scattare? Nel complicato mondo della finanza italiano, i grandi campioni nazionali si muovono da mesi con passo felpato con uno stile simile ai cowboy dei film di Sergio Leone. Ci si guarda, ci si scruta, ci si osserva, si sorride e si aspetta di capire chi sarà il primo a infilare la mano nella fondina e a fare la prima mossa. E così, ogni giorno, anche il dettaglio più piccolo e più laterale, viene trasformato dagli osservatori maliziosi in uno spunto utile per rispondere ad alcune domande ormai ricorrenti. Che succederà in Generali? Come si muoverà Mediobanca? Chi si prenderà Monte dei Paschi? Chi si sposerà con Bpm? Come si espanderà Bper? Che mosse farà Unipol? Come cambieranno le fondazioni? Che intenzioni ha Intesa Sanpaolo? Cosa farà Delfin? Come si muoverà Caltagirone? E cosa farà Unicredit con tutti quei soldi che ha in pancia? Ci si guarda, ci si scruta, ci si osserva e si cerca di capire, anche dai piccoli segnali se, in questo momento di calma apparente, in un momento in cui tutte le banche, tutte le assicurazioni e tutte le grandi società coinvolte nel potenziale risiko finanziario possono rivendicare numeri, conti e bilanci positivi, c’è qualcuno che improvvisamente possa fare la prima mossa.
La novità delle ultime settimane è che il mondo della finanza lombarda attende il dossier annunciato che una grande banca d’affari internazionale farà arrivare sulle scrivanie più importanti d’Italia: uno studio di fattibilità relativo a un’operazione clamorosa di cui si discute da anni e che potenzialmente potrebbe coinvolgere due giganti italiani: Unicredit (52 miliardi di euro di capitalizzazione), Generali (33 miliardi di capitalizzazione) e Mediobanca (10 miliardi di capitalizzazione). L’operazione di cui si è cominciato a discutere in ambienti molto importanti della finanza milanese è la stessa già ipotizzata nel 2021: un’acquisizione di Mediobanca da parte di Unicredit, tramite un’offerta pubblica di scambio, con un venti per cento di premio previsto per gli azionisti. Valore dell’operazione: dodici miliardi di euro.
Un’operazione simile, con caratteristiche più amichevoli, venne già evocata da alcuni osservatori tre anni fa e l’amministratore delegato di Mediobanca, Alberto Nagel, che attraverso Mediobanca controlla Generali, rispose no grazie, con queste parole: “In finanza tutte le fantasie sono lecite, ma dal punto di vista industriale credo sia una combinazione che serva poco a entrambi: tra una banca d’affari specializzata come siamo noi e una banca universale come Unicredit penso sia un’operazione poco sensata che darebbe poco sia all’uno che all’altro”. È probabile che la posizione dell’ad di Mediobanca sia rimasta la stessa ma non è invece difficile capire per quale ragione la posizione di Unicredit dinanzi a questo nuovo dossier (su Mediobanca e Unicredit) potrebbe essere molto diversa rispetto a tre anni fa.
All’inizio del 2021, il valore di capitalizzazione di Unicredit era di circa 18 miliardi. Oggi è di 50 miliardi, con 10 miliardi di capitale in eccesso, come confermato a inizio febbraio dall’ad di Unicredit Andrea Orcel, e se Unicredit volesse portare avanti l’operazione non avrebbe necessariamente bisogno del benestare del capo di Mediobanca. Dietro alla notizia non di un’operazione possibile (non ancora, almeno) ma di un’operazione importante nuovamente suggerita da una banca d’affari internazionale c’è una storia appassionante che si intreccia e che è fatta di piccoli puntini da unire. Generali, come è noto, è tornata a essere al centro delle attenzioni del mondo della finanza da quando due pezzi da novanta del capitalismo italiano (la Delfin fondata da Leonardo Del Vecchio e oggi guidata da Francesco Milleri e l’imprenditore Francesco Gaetano Caltagirone) hanno tentato quasi due anni fa di imporre una discontinuità alla guida del Leone. Il tentativo al momento non ha avuto successo ma alcuni dei protagonisti della storia potrebbero tornare ad avere un ruolo nel caso in cui Unicredit dovesse essere tentata dall’operazione. In Mediobanca, come si sa, Delfin ha il 19,7 per cento e Caltagirone il 9,9 (il gruppo Del Vecchio ha il 9,3 di Generali, il gruppo Caltagirone ha il 6,2 per cento di Generali). In Unicredit, invece, ad avere una quota è Delfin, con l’1,9 per cento.
Gli intrecci ci sono, naturalmente, e gli eredi della famiglia Del Vecchio sarebbero i primi a dare l’appoggio all’amministratore delegato di Unicredit, Andrea Orcel, famoso per la sua vocazione alle grandi acquisizioni, nel caso in cui dovesse fare una mossa verso Mediobanca. E a questi intrecci, del tutto teorici, se ne aggiunge un altro poco teorico e molto pratico, che riguarda un movimento interessante fatto segnare sui taccuini da uno storico azionista di Unicredit: la fondazione torinese Crt, guidata da Fabrizio Palenzona, ex vicepresidente di Unicredit, che pochi giorni dopo aver venduto la sua quota in Bpm (140 milioni di euro) ha “consolidato”, come detto da Palenzona domenica scorsa al Sole 24 Ore, la sua presenza in Generali, comprando un pacchetto di azioni che ha portato Crt vicino alla quota del due per cento. Piccoli segnali, piccoli movimenti, piccoli indizi che non considerano naturalmente la difficoltà dell’operazione evocata (Unicredit, per esempio, ha un accordo consolidato con la tedesca Allianz sui servizi assicurativi) ma che vengono osservati dalla comunità finanziaria e anche dalla politica con curiosità e con interesse per ragioni diverse. In primo luogo, l’operazione non incontrerebbe alcun ostacolo da parte della Banca centrale europea. In secondo luogo, l’operazione, che potrebbe creare uno dei colossi bancario- assicurativi più grandi d’Europa, non potrebbe che essere vista in modo positivo anche dal governo patriottico. In terzo luogo, l’operazione porterebbe altri colossi finanziari italiani in ottima salute, da Intesa Sanpolo a Bpm, a ragionare sul proprio futuro e a interrogarsi su quali passi eventualmente compiere per misurarsi su nuovi terreni.
Alcune delle fonti a conoscenza del dossier che abbiamo consultato hanno suggerito di non escludere una manovra eventuale di Unicredit direttamente su Generali ma questa ipotesi seppure suggerita da un personaggio di primo piano della finanza italiana non è presente all’interno dello studio di fattibilità da cui siamo partiti. Il risiko non sappiamo dire se partirà davvero, così come non sappiamo dire se i gringos resteranno immobili come in un fotogramma di Sergio Leone, ma la ragione per cui lo scenario evocato appare difficile da realizzare ma non impossibile da immaginare è legata alla particolare condizione vissuta dai grandi player della finanza italiana: tutti si guardano, tutti si scrutano, tutti si studiano, tutti sanno che vi sarà una prima mossa e tutti cercano un qualche indizio per capire dove partirà la prima mossa. E a proposito di segnali, guardate cosa è successo ieri a Piazza Affari: il titolo di Generali è salito dello 0,85 per cento, a 21,47 euro per azione, posizionandosi ai massimi dal 2008 e superando la quota del 21,1 euro che era stata toccata a inizio ad aprile 2022, quando Francesco Gaetano Caltagirone e Delfin si erano portati a ridosso del 10 per cento della compagnia per tentare il primo e forse non ultimo assalto al Leone di Venezia. Pronti, partenza, via: chi parte?