l'analisi
Le risposte che mancano da politica e sindacati sulle morti sul lavoro
Vogliamo veramente credere che per la quasi totalità delle nostre imprese la sicurezza sul lavoro sia un optional? Non ci sfiora l’idea che la mole di norme che di evento tragico in evento tragico abbiamo posto a presidio della sicurezza del lavoro sia frutto dell’approssimazione e della superficialità se non proprio dell’ignoranza?
La sequenza è ben nota. Un cantiere – uno qualunque in qualunque parte d’Italia – diventa il teatro di un evento tragico. Uno o più lavoratori perdono la vita. Il sindaco ed il ministro pro tempore visitano il luogo del disastro. I sindacati si indignano e chiedono nuove e decisive misure. Il governo provvede, in tempi record, a disegnare e ad approvare nuovi provvedimenti sempre più incisivi per contrastare il fenomeno. Il tema conquista le prime pagine dei media per poi lentamente passare nelle pagine interne, prima, e nelle brevi, dopo. Nell’attesa del prossimo evento tragico. Chi scrive si era occupato del tema delle morti sul lavoro alla metà degli anni Novanta. Allora, come oggi, i morti sul lavoro erano circa mille all’anno. Esattamente come oggi e come in tutti gli anni di quest’ultimo trentennio. E ciò nonostante che la sequenza descritta in precedenza si sia ripetuta – quale che fosse il colore dei governi – ogni anno e spesso più volte all’anno. Sorge il dubbio che il problema non stia solo negli eventi – tragici, è bene ripeterlo – ma anche nelle modalità con cui a quegli eventi si risponde.
La ministra del Lavoro ci informa che nel 2023 i controlli che hanno registrato irregolarità in tema di sicurezza sul lavoro sono stati oltre il 76% del totale. E se si limita l’attenzione ai lavori effettuati con l’ausilio del Bonus 110% si sale ad un impressionante 85%. Ora, vogliamo veramente credere che per la quasi totalità delle nostre imprese la sicurezza sul lavoro sia un optional? Non ci sfiora l’idea che la mole di norme che di evento tragico in evento tragico abbiamo posto a presidio della sicurezza del lavoro sia frutto dell’approssimazione e della superficialità se non proprio dell’ignoranza? Tanto da riuscire nella straordinaria impresa di dotarci nel 2008 di un testo unico sulla sicurezza del lavoro (306 articoli, 51 allegati e un numero imprecisato di decreti attuativi e collegati), di aggiornarlo poco meno di 20 (diconsi venti) volte negli ultimi quindici anni e, ciò nonostante, di continuare ad avere imperterriti più o meno mille morti sul lavoro all’anno. Non ci viene in mente che è proprio in questa Babele che prosperano i comportamenti irrispettosi della salute e della vita dei lavoratori? Non ci accarezza il pensiero di cambiare strada e scegliere quella che prevede meno norme, scritte da chi ha piena conoscenza del problema, stabili nel tempo e certe per quanto riguarda le conseguenze?
Del resto a chi dovrebbe venire in mente tutto questo? A dei legislatori – ed alle forze politiche che hanno alle spalle – che ormai da qualche decade considerano la qualità dei processi legislativi come l’ultimo dei loro pensieri? Tanto da vantarsi, al termine di ogni legislatura, del numero e solo del numero dei provvedimenti varati anche quando questi risultano illeggibili, incomprensibili, inapplicabili e, di conseguenza, inapplicati. A dei sindacati che sembrano non avere la capacità di interrogarsi sulle radici di un fenomeno che dovrebbe toccare la loro identità e che si ripete invariabilmente da trent’anni? Eppure, solo per un attimo si immagini cosa potrebbe significare per i sindacati e per i lavoratori chiedere ai tanti funzionari sindacali che si occupano solo di pensioni e contratti di lavoro di cambiare lavoro e cominciare a visitare i tanti cantieri distribuiti sul territorio nazionale. Il lavoro cambia per tutti. Forse è arrivato il momento che cambi anche per legislatori e sindacalisti.