interrogativi
Qualche domanda al Mef sulle stime di costo del Superbonus
Non è la prima volta che il deficit viene rivisto in maniera così significativa (parliamo di quasi 40 miliardi di extra deficit). Forse è giunto il tempo di fare qualche utile investimento per rafforzare strumenti e competenze indipendenti nella valutazione di impatto delle politiche di bilancio
La notizia di qualche giorno fa sulla revisione da parte dell’Istat di quasi due punti di pil del deficit del 2023, passato dal 5,3 per cento stimato nella Nadef di settembre al 7,2 per cento, fa sorgere importanti interrogativi sull’effettivo controllo dei conti pubblici. Non è la prima volta che il deficit viene rivisto in maniera così significativa (parliamo di quasi 40 miliardi di extra deficit), era già avvenuto con la Nadef del novembre 2022 (la prima del governo Meloni) che aumentò il rapporto deficit/pil 2023 dal 3,9 al 4,5 per cento e poi ancora con la Nadef dello scorso 27 settembre che aumentò ulteriormente deficit 2023 al 5,3 per cento: ora siamo arrivati al 7,2 per cento del pil.
Il motivo di queste continue correzioni, a suon di decine di miliardi di euro, sembra risiedere nel fatto che il Superbonus e gli svariati incentivi al mondo delle costruzioni continuino a produrre effetti sul bilancio nonostante i ripetuti interventi, evidentemente non sufficientemente efficaci, per chiudere questo gigantesco canale di tiraggio – e talora sperpero – di risorse dei contribuenti. E’ bene ricordare che, a oggi, misure come il Superbonus hanno prodotto maggiori oneri dell’ordine dei 100 miliardi di euro superando sensibilmente le aspettative iniziali, basate su una previsione ufficiale di spesa di 35 miliardi per l’intero periodo di validità della misura.
Le domande che sorgono sono tante. In primis c’è da chiedersi se gli incentivi al mondo delle costruzioni continueranno a produrre extra deficit anche nel 2024. La cosa a questo punto sembra altamente probabile, visto le poderose “code” di spesa che hanno alimentato il deficit 2023. C’è qualcuno in grado di rassicurare che invece questo non avverrà? E’ in gioco la sostenibilità del sentiero di aggiustamento del nostro bilancio nel rispetto del quadro del nuovo Patto di stabilità e, soprattutto, è in gioco il giudizio dei mercati. Un secondo interrogativo è se sia possibile capire quali sono effettivamente gli incentivi “fuori controllo”, ovvero se sia solo il Superbonus al 110 per cento o ci sia anche dell’altro.
Un’altra domanda che sorge spontanea è la seguente: il ministero dell’Economia e delle Finanze ha le competenze e gli strumenti adeguati per stimare, in modo sufficientemente corretto, l’assorbimento di risorse pubbliche delle politiche di incentivazione che vengono varate dal governo e dal Parlamento? Non è infatti la prima volta che le stime prodotte dal Mef in sede di relazione tecnica si rivelano completamente sbagliate, per uno o più ordini di grandezza. Era già avvenuto, ad esempio, quando nell’ agosto del 2020 Il governo Conte II varò una misura – sostenuta da un emendamento parlamentare – di rivalutazione dei beni e riallineamento dei valori fiscali a quelli contabili con un’imposta sostitutiva di particolare vantaggio. Dopo poco tempo ci si accorse che questa misura avrebbe potuto produrre un tracollo erariale stimato in oltre 60 miliardi di euro rispetto a una stima “bollinata dal Mef” di costo di poche centinaia di milioni. Tanto ingenti erano gli effetti di mancato gettito che il governo Draghi dovette ricorrere ai ripari, inserendo nella legge di Bilancio 2022 una misura di revoca e di diluizione del beneficio fiscale in ben 50 anni che procurò non pochi problemi alle imprese.
Questi errori mettono a repentaglio la credibilità del nostro paese e la fiducia dei mercati nello sforzo, su cui proprio il Mef deve sentirsi sempre impegnato, di tenere sotto controllo i conti pubblici. Qualcuno forse ricorderà la corsa alla vendita di titoli di stato della Grecia nel 2008, quando l’istituto nazionale di statistica greco disvelò i dati corretti sullo stato assai compromesso delle finanze pubbliche elleniche. Senza fare indebiti parallelismi, è comunque un fatto che in Italia assistiamo da qualche tempo all’Istat che corregge i dati forniti dal governo sul deficit. Forse è giunto il tempo di fare qualche utile investimento per rafforzare strumenti e competenze indipendenti nella valutazione di impatto delle politiche di bilancio. Questi si che sarebbero soldi ben spesi.
Stefano Firpo, Direttore generale Assonime