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Trieste trema: per la presidenza del porto si teme l'effetto Caligola
Le dimissioni di Zeno D’Agostino aprono le porte a ipotetici profili politici minori, rigorosamente salviniani. Le tribolazioni della Lega a nord-est passano anche in questo caso, dopo quello del governatore del Veneto Luca Zaia, da un secondo mandato che si interrompe
A Trieste temono l’effetto Caligola. L’ha scritto il Piccolo, il quotidiano della città, dopo le improvvise dimissioni di Zeno D’Agostino, il presidente dell’authority portuale giuliana, considerato un guru del management degli scali marittimi. L’effetto Caligola, il sovrano che nomina senatore il suo cavallo, allude principalmente alle possibili mosse di Matteo Salvini, ministro competente per la portualità ma più in generale al mondo politico del centrodestra e alla sua insaziabile fame di poltrone del potere economico, per le quali spuntano spesso candidati improbabili. A prescindere, per dirla con Totò. A Trieste, e non solo nella redazione del giornale-bandiera, temono che dopo un manager di comprovata sagacia e di competenze di livello internazionale (D’Agostino presiede l’associazione portuale europea, l’Espo) atterri sullo scranno più alto del porto e più importante della città (una sorta di secondo sindaco) un politico qualsiasi da piazzare o qualche emergente uscito dalla retrovie dei partiti di governo. Nel toto-nomi tra le varie ipotesi è uscita anche quella della sindaca della vicinissima Monfalcone, la leghista Anna Maria Cisint, che potrebbe candidarsi al dopo-D’Agostino e, in virtù delle sue campagne anti immigrati che hanno “animato” la company town della Fincantieri (e attirato le attenzioni del Financial Times), trovare l’appoggio convinto di Salvini.
Ma in ogni caso il ministro delle Infrastrutture deciderebbe da solo o dovrebbe comunque coinvolgere nella scelta il governatore Massimiliano Fedriga? Bella domanda che non può non ricollegarsi alle ricorrenti voci che vedono i due esponenti leghisti impegnati in una silenziosa competizione per la guida del partito. E’ risaputo – al di là delle smentite più o meno diplomatiche – che proprio Fedriga è la carta di riserva della Lega qualora, un giorno, si dovesse procedere alla de-salvinizzazione auspicata dall’ala nordista. Da qui l’importanza dell’incrocio triestino sul dopo D’Agostino, materia particolarmente calda e che nei copioni della vigilia prevede Salvini ovviamente nella parte del falco e il governatore del Friuli-Venezia Giulia in quella della colomba, attento a non disperdere i frutti della presidenza D’Agostino e disposto a scegliere un profilo con i requisiti della managerialità pur di conservare i successi del porto.
Per ora però i timori della Trieste portuale e non solo sono esagerati. E non perché i falchi siano disposti a chiudere un occhio ma perché i tempi dell’avvicendamento dovrebbero dilatarsi. Formalmente D’Agostino uscirà ai primi di giugno, poi si dovrebbe andare sulla strada della nomina di un commissario continuista (i nomi sono quelli di Vittorio Torbianelli e Antonio Gurreri) che rinvierebbe tutto almeno a fine 2024. A quel punto potrebbe essere già stata approvata la riforma dei porti italiani cara a un altro leghista, stavolta ligure, il viceministro Rixi che, secondo i bene informati, ha messo in questi mesi a punto i termini del provvedimento in stretto dialogo con lo stesso D’Agostino. Insomma i giochi sono più complessi e il timing del ricambio difficile da individuare oggi, Caligola dunque per ora dovrà attendere e dare al suo cavallo l’indicazione di ingannare il tempo.
L’importanza non solo per Trieste ma per l’intero nord-est del caso D’Agostino sta nella qualità del suo operato finora. Arrivato da Verona nove anni fa nella città di Saba e Svevo come un giovane manager con esperienze di portualità e intermodalità, Zeno ha rivoltato come un calzino la cultura economica della città. “Un grande porto non lo si fa sulle banchine – è il leitmotiv degli articoli usciti sul Piccolo nei giorni scorsi – ma su quel che sta davanti e dietro. Gli spazi a terra, la movimentazione sui binari, l’utilizzo innovativo del mare”. E D’Agostino ha saputo combinare i flussi dall’estremo oriente, dal Mediterraneo e dall’Europa incrementando la qualità dei servizi e rendendo efficiente il collegamento mare-ferrovia, fino a fare di Trieste un caso si successo a livello europeo proprio per l’intermodalità. Secondo gli esponenti economici locali è stato capace di attrarre un miliardo di investimenti tra pubblici e privati. Un mazzo nel quale ci sono i soldi del Pnrr (400 milioni), i 200 milioni che il governo dovrebbe stanziare per il Molo VIII e, se vogliamo, lo stesso investimento della British American Tobacco che ha deciso di costruire un impianto a Trieste grazie anche alla mediazione di D’Agostino.
Riepilogare, anche se per sommi capi, il suo operato serve anche per capire il gesto delle dimissioni: anticipate rispetto alla scadenza del suo secondo mandato (dicembre 2024) per stare di più in famiglia ma anche fatte apposta per non logorarsi, per non stare in ufficio a leggere sui giornali le terne dei suoi successori ed evitare quindi di essere cotto a fuoco lento dalla politica, la stessa che nel giorno della sua clamorosa dichiarazione gli ha comunque riservato un plauso bipartisan senza se e senza ma. Nell’attesa che tutte le tessere del mosaico lentamente vadano al loro posto però Trieste trema: ci sono da ultimare i progetti legati al Pnrr e al Molo VIII e c’è anche da concretizzare l’interesse del gruppo Aponte per rilevare l’impianto Wärtsilä e costruire carri ferroviari. Un’altra idea dietro la quale si intravede lo zampino di D’Agostino per costruire a Trieste il materiale rotabile necessario per rafforzare l’intermodalità e i collegamenti con la Mitteleuropa. Potrà sembrare uno scherzo ma le tribolazioni della Lega a nord-est passano anche in questo caso, dopo quello del governatore Luca Zaia, da un secondo mandato che si interrompe. Corsi e ricorsi all’epoca di Caligola.