la proposta
Bloccare subito il Superbonus e pensare a un'alternativa
L’Italia deve raggiungere gli obiettivi europei sull'efficienza energetica, ma lo stato farebbe bene a concentrare le risorse su edifici pubblici e social housing
Che fare col Superbonus? La “stretta” dell’anno scorso del governo Meloni non è stata affatto tale: la spesa è continuata ad aumentare senza controllo, anche a causa dei plateali errori di stima del Mef e della Ragioneria dello stato. Diventa sempre più urgente uno stop drastico, per non compromettere anche i conti del 2024. Al tempo stesso, l’Italia deve rispettare gli obiettivi europei sull’efficienza energetica. Il Piano nazionale integrato energia e clima (Pniec) prevede la riduzione dei consumi di energia dell’1,5 per cento l’anno nel 2026-27 e dell’1,9 per cento nel 2028-30. Ma la corsa alle ristrutturazioni ha anche contribuito a gonfiare l’inflazione su materiali e personale: una stima molto conservativa, fatta nel 2021, calcola che la collettività ha pagato 170-210 euro per ogni tonnellata di CO2 abbattuta, circa il doppio rispetto ai massimi toccati sul mercato delle quote di emissione l’anno scorso e il quadruplo rispetto ai corsi attuali.
Il governo deve quindi muoversi su un sentiero strettissimo: da un lato mettere sotto controllo la spesa per i bonus, dall’altro indirizzare le poche risorse residue per massimizzarne l’effetto in termini di efficienza energetica. Sul Foglio di ieri, Marco Leonardi e Leonzio Rizzo hanno proposto di passare da un sistema basato sui crediti fiscali a uno basato su trasferimenti espliciti: ciò “permetterebbe di risparmiare il costo dell’intermediazione” da parte delle banche, lasciando all’Agenzia delle entrate “il pieno controllo del flusso di spesa” e consentendo oltre tutto di differenziare “l’entità del trasferimento in base alla ‘profondità’ dell’intervento oppure rispetto all’Isee”. La proposta ha senso da un punto di vista meccanico ma costituisce una risposta solo parziale ai problemi sollevati dal Superbonus. In primo luogo, gran parte dei crediti fiscali è ancora in pancia alle imprese edili, segnale di uno scarso appetito del sistema finanziario per questi crediti. Non ci sono abbastanza tasse da compensare con la sbornia. Inoltre, il trasferimento di denaro funziona bene quando è facilmente automatizzabile (come nel caso dei sussidi Covid o dell’assegno unico, citati da Leonardi e Rizzo). Ma può essere assai più difficile da gestire in presenza di criteri più complessi, quali appunto la tipologia di intervento, i costi dei materiali o addirittura il tempo di occupazione dell’immobile. Infine, il boom del Superbonus rende necessari interventi più drastici.
Il primo punto riguarda l’obiettivo stesso del sussidio: siamo sicuri che sia pienamente giustificato? Un immobile più efficiente comporta costi per la climatizzazione molto inferiori. Quindi almeno una parte del beneficio viene catturato dal proprietario. La collettività ha interesse a sostenere le riqualificazioni energetiche solo per i loro impatti ambientali. Peraltro, man mano che le fonti climalteranti vengono ridotte nel mix energetico, anche l’interesse pubblico all’efficienza energetica svanisce: se l’energia è pulita, consumarne tanta o poca è una faccenda di chi paga il conto. Dove invece c’è un chiaro interesse collettivo è nell’efficienza energetica degli edifici pubblici e nel social housing (circa 700 mila famiglie): è qui che le risorse andrebbero concentrate. Rendere scuole, ospedali e uffici pubblici più efficienti risponde a un interesse economico e ambientale assai più del ristrutturare, a spese della collettività, le case dei benestanti. Migliorare la qualità dell’edilizia residenziale pubblica avrebbe anche spillover positivi sui bilanci degli enti gestori, oltre che migliorare la qualità di vita in aree spesso dimenticate dal legislatore e rendere potenzialmente più appetibile la vendita degli immobili agli inquilini e la conversione dell’attuale sistema in uno basato sui voucher.
E’ vero tuttavia che siamo soggetti a obblighi europei e che quindi qualche forma di supporto al miglioramento delle prestazioni degli edifici (specialmente nei condomini) è necessario. Ma dovremmo tarare meglio questo beneficio, con un occhi anche a quello che fanno gli altri paesi dell’Unione europea che devono raggiungere i medesimi obiettivi. Ebbene, se il 110 per cento è un unicum a livello planetario, anche il precedente incentivo (al 65 per cento) era l’agevolazione più generosa in tutta Europa. Se quindi lo strumento del credito d’imposta può essere conservato, va riportato almeno a tale soglia (o anche sotto). Con due integrazioni. La prima riguarda gli effetti redistributivi. L’unico aspetto positivo del Superbonus è che, attraverso la cedibilità del credito, ha potuto raggiungere anche famiglie a medio reddito (se non proprio basso) che altrimenti non avrebbero potuto permettersi di finanziare l’intervento. Questo aspetto però va adeguatamente studiato ed è incredibile che i microdati del più costoso programma della storia di questo paese, attualmente divisi tra Agenzia delle entrate ed Enea, non siano a disposizione della collettività per analisi e valutazioni.
Le famiglie a basso reddito dovrebbero essere destinatarie di un provvedimento specifico, per esempio dei prestiti a tasso agevolato o garanzie pubbliche sui finanziamenti bancari. Ciò avrebbe il pregio di mantenere allineati gli incentivi delle famiglie con quelli dello stato (perché una quota del costo rimane a carico del beneficiario). L’altro aspetto riguarda un’ulteriore conseguenza positiva (in buona parte inintenzionale) del Superbonus, che ha trasformato i venditori di energia elettrica e gas in controparti delle famiglie per l’efficientamento delle abitazioni. Questo legame va preservato e rafforzato perché nessuno conosce meglio gli stili e le fonti di consumo di chi vende l’energia. Occorre quindi trovare strumenti per indurre i fornitori di energia a rimanere attivi su questo fronte, per esempio riconoscendo loro dei titoli di efficienza energetica commisurati agli interventi di riqualificazione che veicolano.