C'è un problema al Mef con le previsioni di spesa? Tre indizi
Superbonus, rivalutazione dei beni, tassa sugli extraprofitti. Sono tre casi clamorosi, negli ultimi anni, di provvedimenti in cui le stime del Mef e della Rgs si sono rivelate sballate per decine e decine di miliardi. È un guaio per la salute del bilancio e della democrazia
Il direttore generale di Assonime, Stefano Firpo, sul Foglio del 5 marzo ha posto una domanda: “Il ministero dell’Economia e delle Finanze ha le competenze e gli strumenti adeguati per stimare, in modo sufficientemente corretto, l’assorbimento di risorse pubbliche delle politiche di incentivazione che vengono varate dal governo e dal Parlamento?”. In sostanza: il Mef, con le sue strutture tecniche, sa fare i conti?
Per Agatha Christie, “un indizio è un indizio, due indizi sono una coincidenza, ma tre indizi fanno una prova”. Negli ultimi anni abbiamo avuto tre previsioni di spesa errate, cioè che si sono rivelate sfavorevoli per le finanze pubbliche. E di molto.
Primo indizio. Il caso più recente e macroscopico è quello del Superbonus 110%. L’1 marzo l’Istat ha svelato al mondo che nel 2023 il deficit è stato pari al 7,2%, circa due punti sopra il 5,3% previsto dal governo solo pochi mesi fa. E questo perché la spesa per il Superbonus è completamente fuori controllo. A dicembre 2023, il bonus edilizio al 110% è costato 40 miliardi di euro in più rispetto alle previsioni di ottobre, contenute nella Nadef e poi inviate a Bruxelles nel Documento programmatico di bilancio (Dpb). Ma in quei documenti, il Mef aveva già aggiornato – in peggio – di oltre 20 miliardi le stime di spesa rispetto al Documento di economia e finanza (Def) di aprile. In tutto, quindi, il costo del Superbonus nel 2023 si è rivelato oltre 60 miliardi superiore al previsto: 3 punti di pil in più. Se si guarda ulteriormente indietro, secondo i dati presentati a maggio 2023, in audizione alla Camera, dal dipartimento Finanze del Mef e dalla Ragioneria dello stato (Rgs), la spesa per i bonus edilizi (Superbonus e Bonus facciate) era all’epoca superiore di 45 miliardi rispetto alle relazioni tecniche dei provvedimenti approvati dal governo e votati dal Parlamento. Oltre 100 miliardi di sforamento: 5 punti di pil bruciati in violazione dell’art. 81 della Costituzione e di una sana e prudente gestione delle finanze pubbliche.
Secondo indizio. Lo ha ricordata proprio Firpo: si tratta di una norma, approvata sempre dal governo Conte II, sulla disciplina della rivalutazione dei beni e dei riallineamenti ai valori fiscali. È una questione un po’ tecnica, ma si tratta in buona sostanza di un’agevolazione pensata per le imprese durante la crisi Covid, che consentiva di applicare un’imposta sostitutiva del 3% sul maggiore valore attribuito ai beni rivalutati. Il costo stimato dalle strutture tecniche del Mef, e bollinato dalla Rgs, doveva essere di qualche centinaia di milioni. Ma dopo l’arrivo dei dati sulle prime rate da pagare dell’imposta, si era subito capito che il costo sarebbe stato di quasi 70 miliardi di euro. In quel caso, il governo riuscì a intervenire per tamponare l’emorragia fiscale inserendo nella legge di Bilancio 2022 una misura che in parte revocava il beneficio e in parte lo spalmò su 50 anni.
Terzo indizio. Nel 2022, il governo Draghi introdusse una tassa sui cosiddetti extraprofitti delle imprese energetiche, che avrebbe dovuto portare nelle casse dello stato circa 11 miliardi di euro. Nella realtà, però, il gettito raccolto fu di appena 2,8 miliardi: 8 miliardi in meno delle risorse messe a bilancio alla voce “entrate”.
Sono tre casi, clamorosi, verificatisi negli ultimi tre anni che, cumulati, hanno prodotto un ammanco – in parte sventato, per la norma sulle rivalutazioni – da centinaia di miliardi di euro.
C’è da considerare che fare previsioni non è semplicissimo. In genere, le stime della Rgs e del Mef sono “conservative”, ovvero volte a evitare buchi di bilancio. La cosa funziona bene quando ci sono misure con una platea predeterminata, abbastanza ristretta, e si ipotizza in maniera prudenziale un tasso di richieste elevato. È il caso, ad esempio del Reddito di cittadinanza o di Quota 100, per cui erano stati ipotizzati dei take-up alti (pari all’80% degli aventi diritto) e poi, nella realtà, la spesa si è rivelata inferiore al previsto perché le richieste sono state più basse (soprattutto nel caso di Quota 100).
La cosa si fa più complicata per bonus o agevolazioni che ipotizzano un aspetto comportamentale individuale, di imprese o persone, che è più difficile da stimare. In genere si guarda a misure analoghe del passato per proiettare delle previsioni. La cosa, evidentemente, non ha funzionato con il Superbonus che era un animale completamente diverso dai vecchi ecobonus, sia perché era al 110% (sparisce il contrasto di interessi) sia perché c’era la cessione del credito (niente più vincolo di liquidità). Non ha funzionato neppure per misure nuove, come quella sulle rivalutazioni dei beni delle imprese o l’imposta sugli extraprofitti delle imprese energetiche.
Pur comprendendo la difficoltà a fare previsioni, si tratta di tre casi gravi che secondo la legge di Agatha Christie sono la prova che qualcosa non funziona. Forse c’è qualcosa da rivedere nei modelli, nei processi e nelle competenze delle strutture tecniche del Mef. Sembrano questioni marginali, ma sono centrali per la salute della democrazia. Perché senza stime attendibili da parte delle tecnostrutture sul costo delle misure, i provvedimenti del governo e i voti del Parlamento rischiano di essere completamente falsati. E con essi, di conseguenza, i conti pubblici.