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Il Parlamento europeo approva la direttiva "case green": cosa prevede e cosa cambia per l'Italia
Il testo uscito dall’aula di Strasburgo, nonostante il voto contrario delle tre forze di maggioranza italiane, risulta profondamente alleggerito nei requisiti rispetto alla proposta di marzo. Ecco le novità nel dettaglio
A un anno dalle polemiche sulla sua prima versione e dopo mesi di trattative del trilogo, la direttiva “case green” è stata approvata ieri in via definitiva dal Parlamento europeo: per la conclusione dell’iter manca ora il parere formale del Consiglio, che arriverà all’Ecofin del prossimo 12 aprile. Il testo uscito dall’aula di Strasburgo – benché criticato dai rappresentanti italiani di tutte e tre le forze di maggioranza, che hanno espresso voto contrario – risulta profondamente alleggerito nei requisiti rispetto alla proposta negoziale dello scorso marzo, che aveva provocato un’alzata di scudi in molti paesi europei e soprattutto in Italia.
Ad aumentare è la discrezionalità dei singoli stati, che potranno uniformarsi agli obiettivi europei avendo a disposizione maggiore libertà. Rimangono in ogni caso due le direzioni principali in cui si muove la direttiva: da un lato regola la costruzione di nuovi edifici e la ristrutturazione di quelli esistenti, dall’altro disciplina l’utilizzo di impianti termici. Il tempo di recepimento previsto per i paesi membri è di due anni, ma è difficile valutare l’impatto reale delle misure (alcune delle quali, ad esempio, varranno già per il prossimo anno). Di seguito le novità nel dettaglio.
Cosa cambia per gli edifici
Sul fronte della ristrutturazione degli edifici, la differenza con la prima proposta negoziale è vistosa. Dall’obbligo di adeguarsi alla classe energetica E entro il 2030 e alla classe D entro il 2033 previsto inizialmente, la direttiva ora fissa soltanto obiettivi medi di riferimento, che corrispondono a una percentuale sull’intero patrimonio edilizio di uno stato. In particolare, si chiede a ogni paese una diminuzione del 16 per cento del consumo energetico medio entro il 2030 (prendendo come riferimento il 2020 e non il 2024), che passa al 20-22 per cento entro il 2035. Il target finale è il 2050, in cui il patrimonio edilizio dovrà essere a zero emissioni. Saranno quindi i singoli governi nazionali a decidere come adeguarsi ai parametri, presentando un piano di riduzione dei consumi.
Scendendo ancora nel dettaglio, l’unica condizione richiesta dall’Europa è che gli obiettivi siano raggiunti per almeno il 55 per cento attraverso il rinnovo degli edifici residenziali con le prestazioni peggiori. E qui si aggiunge un’altra percentuale, che diventerà concretamente quella decisiva: dovrà infatti essere ristrutturato, in prospettiva, il 43 per cento di immobili più energivori di ogni paese. Per l’Italia, significa di fatto un intervento su circa 5 milioni di edifici residenziali (tenendo conto delle ristrutturazioni avvenute dal 2020 a oggi). Sono state concordate infine delle deroghe per alcune categorie specifiche di immobili che saranno dunque esclusi dagli obblighi: i luoghi di culto, gli edifici temporanei o protetti per il loro valore storico, nonché quelli di dimensioni inferiori a 50 metri quadrati e le seconde case.
Per quanto riguarda i nuovi immobili, invece, gli edifici pubblici dovranno essere a zero emissioni entro il 2028, mentre per quelli privati il vincolo scatterà dal 2030 (in questo caso, la scadenza è stata prorogata di due anni rispetto alla prima versione). Sempre per i nuovi edifici pubblici, la direttiva stabilisce inoltre l’obbligo di installazione di pannelli solari qualora essa risulti “tecnicamente ed economicamente sostenibile”.
Cosa cambia per gli impianti termici
Anche sugli impianti di riscaldamento si è assistito a un leggero ammorbidimento, per quanto le nuove regole abbiano comunque un impatto notevole. È stato posticipato di cinque anni, al 2040 anziché al 2035, il divieto di produzione e vendita degli impianti alimentati a combustibile fossile. Ma per le caldaie alimentate esclusivamente a metano, già dal prossimo anno scatterà lo stop definitivo agli incentivi. L’avverbio “esclusivamente” ha una sua importanza, perché gli stati potranno continuare a finanziare bonus per gli impianti ibridi, o comunque per gli apparecchi in grado di funzionare in modo prevalente con gas verdi. In ogni caso, le conseguenze della direttiva si faranno sentire da subito: l’Italia dovrà ripensare infatti nei prossimi mesi il quadro delle attuali agevolazioni (molte delle quali in scadenza a fine 2024), adattandosi alle linee guida dell’Ue.