Il retroscena
Il dopo Bonomi è un affare tra Orsini e Garrone
Gialli, sberle e modelli. Alla fine per la presidenza di Confindustria sono solo in due: si prospetta una corsa molto incerta in un momento di difficile trasformazione per il comparto italiano
Per la presidenza della Confindustria alle fine sono solo in due: Edoardo Garrone e Emanuele Orsini, è questa la decisione dei tre saggi che debbono designare i candidati. La notizia è arrivata ieri sera, ma fino a due ore prima sembrava che fosse in corsa anche Antonio Gozzi. L’Agenzia Italia alle 18,26 aveva battuto la notizia che il presidente della Federacciai aveva raccolto un 25 per cento dei voti assembleari, quindi oltre la soglia prevista del 20 per cento. Aveva ottenuto consensi al nord e al sud, in un’ampia gamma di settori dell’industria manifatturiera/farmaceutica, moda, legno-arredo, chimica, vetro, cemento e ovviamente acciaio. Due ore dopo l’agenzia Ansa capovolge il risultato. Alla conta delle deleghe infatti risulterebbe che erano meno della quota prevista. Così la commissione ha escluso Gozzi. Il giorno prima si era ritirato anche un altro candidato potenziale, Alberto Marenghi.
Al voto il 4 aprile così non si confronteranno più due industriali di grosso calibro (curiosamente entrambi genovesi) come Gozzi che presiede il gruppo siderurgico Duferco e Garrone presidente della Erg, esponente di una dinastia petrolifera passata alle energie rinnovabili. Il terzo concorrente, Orsini, è un manager cresciuto in un’azienda emiliana che fa strutture in legno, la Sistem costruzioni, ma ha fondato a sua volta due aziende, dunque è una figura a cavallo tra imprenditore e dirigente industriale. Vicepresidente con delega sul credito, viene considerato il preferito del presidente uscente Carlo Bonomi. Garrone non è certo nuovo in Confindustria, è stato vicepresidente con Luca di Montezemolo e con Emma Marcegaglia che lo sostiene apertamente insieme a parte dell’Assolombarda, attualmente presiede la società editrice del Sole 24 Ore. Gozzi invece guida la federazione di categoria, ma non ha un passato confederale.
La competizione, comunque resta aperta e questo è già di per sé un buon segnale, se è vero che possa emergere un certo risveglio del Mittelstand italiano, il nocciolo produttivo fatto di medie aziende che vorrebbe pesare sulla scena più ampia, a cavallo tra economia e politica. Vedremo quali sviluppi avrà una corsa molto incerta, questa volta non decisa dall’alto. Non sono in lizza soltanto “i professionisti della Confindustria” come li aveva definiti Gianni Agnelli, cioè coloro che cercano il successo non alla guida della propria impresa, ma attraverso le cariche associative. E’ possibile che ciò spinga gli imprenditori italiani a voler contare di più (e in modo diverso) anche nei confronti della politica, rappresentando in piena autonomia gli interessi di fondo dei loro associati senza indossare, come spesso è accaduto, il saio del questuante. L’industria italiana in piena, difficile trasformazione, è alla ricerca di un nuovo modello, ha bisogno di strategie e di politiche non di sussidi.