il reportage
Così in Adriatico si estrae il petrolio italiano: viaggio sulla piattaforma Rospo Mare B
Dal giacimento Rospo, 20 chilometri al largo di Vasto, sgorgano 2.300-2.500 barili al giorno. Un greggio denso come sciroppo nero che non si brucia, ma si trasforma in asfalto. A gestire l'impianto in mezzo al mare c'è un equipaggio di “lavoratori invisibili dell’oil&gas”, quell’aristocrazia operaia destinata a essere soppressa dalla nostra spocchia ambientale. Ecco come si lavora e quanto si produce
Latitudine 42°12’45” Nord, longitudine 14°56’48” Est. Lì dove nasce l’asfalto su cui camminiamo, pedaliamo, guidiamo. Ogni sera, finito il lavoro in officina, Busilacchi Gianni guarda il cielo che pare non avere misura e ascolta il ruggito del mare e sa se potrà tornare a casa o se dovrà restare a dormire nella sua fabbrica, la piattaforma RsmB Rospo Mare B in mezzo all’Adriatico, alta sull’acqua come un edificio di 10 piani, ben piantata sul fondo del mare. Le zampe colossali d’acciaio color arancio scendono fino al fondo di sabbia 70 metri sott’acqua. Busilacchi, 53 anni, di Matera, faccia solcata come quelle dei film in bianco-e-nero del neorealismo, è uno dei “lavoratori invisibili dell’oil&gas”, quell’aristocrazia operaia destinata a essere soppressa dalla nostra spocchia ambientale di borghesi da scrivania climatizzata. Il campo petrolifero Rospo fu perforato 40 anni fa dalla francese Elf, oggi diventata per fusioni e incorporazioni Total, poi passò alla milanese Edison la quale, tre anni fa, cedette alla greco-inglese Energean tutte le sue attività petrolifere, comprese le 14 piattaforme nei diversi mari italiani e tutto il personale.
Andare in fabbrica
Dal giacimento Rospo, 20 chilometri al largo di Vasto, sgorgano 2.300-2.500 barili al giorno. Un barile è pari a 159 litri. Il greggio nel sottosuolo è sollevato verso le teste dei pozzi dall’acqua che, nelle profondità della roccia, spinge dal Gran Sasso e dalla Maiella, i cui massicci cupi si distinguono sul filo dell’orizzonte nelle giornate terse, mentre nelle giornate di foschia si offuscano il profilo della terra e il segnale del telefonino. E la costa dalmata? “No – dice il Busilacchi – la Dalmazia non si vede nemmeno salendo lassù sull’helideck”, cioè il disco d’atterraggio verde leopardato da quarant’anni di schittate bianche dei gabbiani. Busilacchi è assistente di produzione e lavora sulla piattaforma nei circa 200 giorni l’anno in cui le onde gli lasciano arrivare con il battello nella sua postazione di lavoro nella fabbrica in mezzo al mare dove l’indirizzo sono le coordinate geografiche. Ogni mattina da Vasto servono una cinquantina di minuti di navigazione, ondeggiando la testa e guardando il nulla come fanno gli operai nel treno dei pendolari. Se invece il mare cattivo non glielo permette, allora lavora da terra con scrivania climatizzata. Nella profondità della pietra, tra i 1.200 e i 1.400 metri sotto il fondale del mare, c’è una grande area carsica di roccia calcarea tormentatissima impregnata di greggio a 60-70 gradi di temperatura. La qualità è alta, non ci sono composti indesiderati come l’idrogeno solforato. Però il giacimento Rospo ha una particolarità: è un greggio denso, denso come quello che la venezolana Pdvsa estrae alla foce dell’Orinoco (c’ero stato, sui giacimenti del Carabobo nello stato di Monagas; avevo chiesto di aprire il rubinetto alla testa di pozzo, e ne era stata estrusa una pasta nera a densità maionese in tubetto) o come quello canadese dell’Alberta. Il petrolio dell’Adriatico quando è caldo è uno sciroppo nero, che puoi mescolarlo nell’asfaltatrice insieme con la ghiaia, e quando raffredda diventa solido che è l’asfalto delle strade.
Non si brucia
Dice Busilacchi Gianni: “Con la viscosità di 12 gradi Api, no, questo petrolio non va bene da bruciare. Quelli che parlano di fossili parlano di quell’altro petrolio. Questo diventa isolante per tetti e pareti, diventa asfalto per le strade e le piste ciclabili”. Ho cercato i numeri: l’Italia distende sotto i cilindri degli schiacciasassi 1,66 milioni di tonnellate di bitumi l’anno e questo giacimento ne è il principale fornitore. L’altro grande fornitore di catrami e asfalti è più a nord, è un altro giacimento in mezzo all’Adriatico, si chiama Sarago, è anche quello della compagnia Energean e ha un cliente quasi unico, in un rapporto di monopsonio con la raffineria Api di Falconara. Sotto alle zampe di Rsmb Rospo Mare B c’è un mondo di pesci che si rifugiano per sfuggire alle reti che drenano l’Adriatico; sull’acciaio si formano colonie di madrepore e di coralli, e in uno degli uffici della piattaforma c’è un acquario in cui vive una piccola comunità di cozze telecontrollate in continuo dallo Zooprofilattico Caporale di Teramo per scoprire eventuali inquinanti nell’acqua sottostante. Sono animali sensibilissimi e nel centro sperimentale di Teramo i sensori sobbalzano quando sulla piattaforma in mezzo al mare qualcuno accende la luce e sveglia i mitili. Mi chiede Busilacchi Gianni: “Sa quale inquinante troviamo in questo tratto di Adriatico?” Rispondo: immagino i colifecali delle fogne. “No; il rame. Il rame che i fiumi portano dai vigneti. Sono i trattamenti dei contadini con poltiglia bordolese e verderame per il Montepulciano d’Abruzzo”. Il sole fa brillare come acciaio il mare sopra il giacimento Rospo e sopra il fondo dell’Adriatico sono posate tre piattaforme: la piattaforma satellite RsmA con 9 pozzi, più a sud, non abitata, eccola laggiù; la RsmC, a nord, quella alta sul mare, 11 pozzi, non abitata; e la RsmB, che è questa piattaforma madre, 12 pozzi, presidiata in orari d’ufficio e telecontrollata da terra nelle altre ore. I tubi dai pozzi arrivano tutti sulla piattaforma madre B, questa, dove ci sono gli impianti di preparazione del greggio, e da qui una condotta posata sul fondo del mare porta il petrolio fino alla nave Fso Alba Marina, una petroliera senza elica e senza timone, ormeggiata fissa in mezzo al mare, che ha la funzione di serbatoio del greggio estratto dal giacimento.
Il vino sul tavolo
Con un investimento semplice e pochi mesi di lavoro si potrebbe raggiungere quella parte nuova di giacimento che l’Elf Aquitaine aveva individuato decenni fa e che si era ripromessa di cercare di raggiungere. “Basterebbe usare due dei pozzi della piattaforma C senza scavarne nuovi, e perforare in orizzontale per raggiungere quelle sacche rimaste isolate”, dice Ettore Saluci, 36 anni, ingegnere catanese, direttore operativo alle concessioni dell’Energean, cioè le 14 piattaforme, la grande nave Fso Alba Marina, i 5 giacimenti a terra. Gli studi sono stravecchi, e con le tecnologie di allora si pensava che avrebbero potuto essere estratti dai mille ai 2mila barili al giorno per pozzo. Ma erano le stime di allora, stime fatte con le tecnologie di quando non esistevano né Internet né i telefonini né i centri di calcolo e quando l’ingegner Saluci era un bambino e la sua scuola si chiamava ancora elementare. Non è diversa la situazione per Vega, l’enorme piattaforma dell’Energean nel Canale di Sicilia al largo di Ragusa, la più grande del Mediterraneo, una città mineraria che nei giorni gloriosi estraeva 60mila barili di greggio al giorno e oggi fatica a superare i 1.800 barili finché non viene permesso di raggiungere l’altro ramo del giacimento. Perché un giacimento – perdonino i geologi e gli ingegneri minerari per il paragone irrispettoso della scienza – è come vino rovesciato sulla tavola, e si cercasse di asciugarlo aspirandolo con una cannuccia: la cannuccia in mezzo alla macchia ne aspira una parte minima e poi la cannuccia va spostata sul tavolo per suggere quanto più vino sparso rimanente. In genere i pozzi riescono a ricuperare una piccolissima parte del petrolio contenuto nei giacimenti; in casi così eccezionali da essere citati nelle relazioni geologiche, si arriva a estrarne il 30%. Facciamo i conti del sottosuolo, ingegner Saluci. Quanto petrolio c’era nel giacimento Rospo Mare, quanto ce n’è ancora, quanto potrà essercene? Risponde Saluci: “In origine il giacimento era stato stimato in 800 milioni di barili di greggio. In una quarantina d’anni finora siamo riusciti a estrarre 104 milioni di barili, il 13%. Quanto ce n’è ancora? Circa 19 milioni di barili ricuperabili nel giacimento già noto, e un’altra decina di milioni di barili sono le stime per la nuova area individuata allora e mai più sfruttata”.
Barili
Ancora conti in tasca al petrolio italiano. Nel 2022 la produzione nazionale di greggio è stata di 32 milioni barili, l’8% del fabbisogno italiano che è di circa 395 milioni di barili. Il petrolio italiano viene estratto per il 91% da giacimenti di terraferma, soprattutto dalla Basilicata della val d’Agri (36mila barili il giorno 28 settembre, operatore Eni) e di Tempa Rossa (38mila barili estratti il 28 settembre, operatore Total) e la restante parte (9%) dai giacimenti al largo delle coste del medio-basso Adriatico e della Sicilia. Energean è il quinto produttore di petrolio in Italia dopo Eni e Total, con 5.500 barili al giorno, ed è il primo produttore di petrolio dai mari italiani con le piattaforme dei giacimenti Rospo, Sarago e Vega. Il padrone dell’Energean, cioè fondatore, amministratore delegato e azionista di riferimento, è Mathios Rigas. Era attivo nella finanza aggressiva di Londra ma non aveva dimenticato la laurea in ingegneria mineraria e aveva scommesso tutti i suoi soldi su un piccolo giacimento; la svolta è avvenuta quando ha comprato alcuni pozzi in un grande giacimento nel mare di fronte a Israele, e per questo motivo l’Energean è stata quotata non solamente a Londra ma anche a Tel Aviv; infine ha acquisito dall’Edison tutte le sue attività minerarie concentrate in Italia ma con giacimenti anche in Croazia, Egitto e Inghilterra.
Sulla petroliera
Le tre piattaforme estraggono il greggio denso, poi da Rospo Mare B una condotta porta 380 tonnellate al giorno di quel greggio fino alla Fso Alba Marina, che è una petroliera Panamax da 109mila tonnellate lunga 245 metri ma è disattivata, castrata di eliche e di timone, in ormeggio permanente in mezzo al mare. Su Alba Marina vive un equipaggio di una quindicina di persone. Il posto non manca, ci sono cabine per 51 persone comode. A bordo vivono i 12 marittimi della P.B.Tankers di Pietro Barbaro, la società armatrice che svolge i servizi navali, guidati dal comandante Abita Marcello, trapanese di Erice, e dall’ufficiale di macchina Massimi Roberto, romano con residenza sulla Casilina, che appena uscito dal nautico aveva trovato imbarchi sulle petroliere e dopo anni sulle bianchissime crociere di lusso è tornato al suo amore iniziale delle petroliere, questa ferma in mezzo al mare. Ci sono i tre addetti del catering della Ligabue, con il cuoco Di Gioia Antonio che quando non è a bordo vive a Molfetta, e sanno cucinare tutto, e ogni mattina il pane fresco che profuma di mare. “Noi abbiamo il contratto turistico alberghiero, perché questo dopotutto è un albergo”, commenta Di Gioia. C’è il rappresentante della proprietà Energean, Santo Di Donna. Lavorano 28 giorni filati, 12 ore al giorno dalle 7 alle 19 e 12 ore di tempo libero, che su quella nave ferma in mezzo al mare non passa mai. La palestra con gli attrezzi, la saletta cinema, il ritrovo in sala mensa dove a Capodanno si taglia il panettone tutti insieme. Poi c’è una seconda squadra gemella. Dopo 28 giorni scendono questi e sale l’altra squadra, l’altro turno, l’altro comandante, l’altro ufficiale di macchina, un’altra brigata di cucina. L’altro comandante è una comandante, si chiama Valentina Paris e ha navigato su petroliere e mercantili prima di alternarsi a imbarchi di 28 giorni sull’Alba Marina. Ogni qualche mese, secondo i contratti fatti dagli uffici commerciali a Milano, arriva una petroliera. Accosta, si allaccia alla manichetta e preleva il carico, qualche decina di migliaia di tonnellate per volta, qualche centinaio di migliaia di barili. Dove va? Rimane in Italia: una volta l’acquirente è l’Eni per le raffinerie del Mezzogiorno, oppure la Q8 per Milazzo, o l’Api a Falconara. E alla fine quel petrolio si fonderà con la brecciolina di ghiaia nelle asfaltatrici che spalmano le strade. Il greggio di Rospo Mare viene venduto con uno sconto del 15-20% rispetto alla quotazione del Brent perché non può andare nel più vasto mercato dei carburanti e dei combustibili, ma rimane pregiato proprio perché serve per fare altre cose che il greggio degli sceicchi non può. Sulla piattaforma Rsmb Rospo Mare B il tecnico di produzione Busilacchi Gianni si china a un tubo con valvole, ne apre alcune, e riempie un vasetto di vetro con questo olio nero, denso, dall’odore inconfondibilmente idrocarburo. Finalmente le incisioni profonde del suo viso neorealista si distendono in un sorriso. Mi permette? Intingo un polpastrello nel vasetto e timbro una ditata nera di petrolio sul quaderno su cui sto prendendo questi appunti che state leggendo. Resterà con me.