L'analisi
Spread, debito e rating. Il salto di qualità che manca all'Italia
Lo spread scende, soprattutto per fattori esterni come la prospettiva di un allentamento della politica monetaria della Bce e la maggior credibilità delle finanze pubbliche europee grazie al nuovo Patto di stabilità. Ma l’Italia deve migliorare il rating da tripla B
Negli ultimi sei mesi lo spread dell’Italia (il differenziale d’interesse fra i titoli di stato italiani e quelli tedeschi con scadenza a dieci anni) è sceso di oltre 80 punti base, raggiungendo un livello di 125 che non si vedeva dalla fine del 2021. Ciò riflette in larga parte il calo del rendimento dei titoli di debito pubblico italiano, da oltre il 4,8 per cento dell’ottobre scorso all’attuale 3,7 per cento. Si tratta ovviamente di una buona notizia, perché significa un minor onere da pagare sul nostro debito pubblico.
La domanda da porsi riguarda i motivi di tale miglioramento. Si possono avanzare varie ipotesi. Da un lato vanno considerati i fattori esterni al paese, come la prospettiva di un allentamento della politica monetaria della Bce e la maggior credibilità delle finanze pubbliche europee per effetto del nuovo Patto di stabilità. Dall’altro vanno valutati i fattori propri alla situazione italiana, come la crescita economica, migliore di altri paesi europei, la prudenza dimostrata finora nei piani di finanza pubblica e le prospettive di una maggiore stabilità politica. Inoltre, va tenuto conto dell’aumento del debito pubblico a livello globale, che può aver ridotto i timori nei confronti del debito italiano. Non è facile identificare il contributo di ciascun fattore, in particolare quelli esterni.
Non c’è dubbio, ad esempio, che il previsto calo dei tassi d’interesse da parte della Bce abbia svolto un ruolo determinante. I rendimenti di altri membri dell’area dell’euro, come la Spagna o il Portogallo, sono scesi anch’essi, ma in misura molto inferiore (di 30 e 15 punti, rispettivamente, negli ultimi sei mesi). Tuttavia, il rating del debito pubblico di questi due paesi è migliore di quello italiano (A e A- per Spagna e Portogallo, rispettivamente, contro BBB dell’Italia). È presumibile che l’annunciata riduzione dei tassi d’interesse porti un beneficio maggiore ai titoli con rendimenti più elevati, ossia a quelli italiani.
Per spiegare l’evoluzione dello spread italiano, il confronto va fatto con i titoli che hanno la stessa notazione di rischio da parte delle principali agenzie internazionali, ossia la tripla B. Il grafico allegato mette a confronto lo spread dei titoli di stato italiani con un indice di titoli obbligazionari BBB emessi da aziende europee. Per omogeneità di confronto si considerano nel grafico i titoli con scadenza a 5 anni.
Le due serie registrano una evoluzione molto simile nel periodo recente, sia nella fase di rialzo dello spread, che ha coinciso con la restrizione monetaria avviata dalla Bce nel 2022, sia nella fase più recente di riduzione. Anche l’aumento dello spread all’inizio della pandemia, nei primi mesi del 2020, e il suo successivo rientro, appaiono in linea con l’evoluzione media di titoli obbligazionari della stessa categoria di rischio.
Una divaricazione significativa tra le due serie si è registrata durante alcuni episodi specifici, come a fine 2018, quando lo spread italiano è salito ben oltre la media dei titoli BBB per circa un anno. Ciò è stato dovuto presumibilmente a fattori interni, connessi alla Finanziaria varata dal governo Conte I, che prevedeva un disavanzo pubblico superiore a quanto concordato con l’Unione europea. Lo spread è poi rientrato sui livelli precedenti, nel corso del 2019, in seguito a un’attuazione più rigorosa del bilancio e al cambiamento di governo. L’altra divergenza si è registrata nel 2015, quando lo spread sui titoli italiani è stato inferiore alla media degli altri titoli europei con rating BBB, presumibilmente per effetto della politica di acquisto lanciata dalla Bce, che ha inizialmente privilegiato i titoli di stato.
Nel complesso, il confronto con altri titoli della stessa categoria di rischio suggerisce che, nella fase attuale e in prospettiva, l’evoluzione dello spread italiano dipende in larga parte da fattori esterni, fuori dal controllo del paese. Ciò vale, ovviamente, fin quando il rating dell’Italia rimane collocato nel segmento BBB, appena superiore a quello del cosiddetto “investment grade”, che mantiene l’accesso agli investitori internazionali. Pertanto, l’unico modo per riuscire a incidere in modo sistematico sul costo del debito pubblico è quello di migliorare il rating del paese. Come, peraltro, hanno fatto altri: negli ultimi otto anni la Spagna è passata da un rating BBB a A e il Portogallo da BBB a A-. Se è riuscito ad altri, non c’è motivo di credere che non sia possibile anche per noi.