Il ruolo dell'Italia
Come le crisi geopolitiche possono diventare opportunità. Due studi
La crisi nel Mar Rosso ora fa meno paura: per questo si comincia ragionare in termini di possibilità strategiche. Come trasformare l'instabilità in crescita economica, secondo Pasquale Salzano di Simest e secondo il Centro studi di Intesa Sanpaolo
Quando a inizio anno è scoppiata la crisi nel Mar Rosso, il grande timore è che potesse infiammare di nuovo l’inflazione cambiando la rotta dei tassi. Ora che si è capito che non sta avendo grandi impatti sui prezzi dell’energia, si comincia a ragionare in termini di opportunità strategica che potrebbe derivare per l’Italia il suo posizionamento al centro del Mediterraneo. “La frammentazione globale sta avendo come effetto l’accorciamento delle catene produttive e questo potrebbe in prospettiva spostare l’asse mitteleuropeo verso Sud”, ha spiegato Pasquale Salzano, presidente della Simest (gruppo Cdp) nel suo intervento all’evento del Foglio che si è svolto sabato nella sede milanese di Banco Bpm. Insomma, una crisi geopolitica potrebbe trasformarsi in un’opportunità di crescita economica, come sottolineato anche dal centro studi di Intesa Sanpaolo, che ieri ha annunciato le nuove stime del pil per il 2024 (più 0,7 per cento) e il 2025 (più 1,2 per cento nel 2025), spiegando che “l’Italia può diventare il luogo dove investire visto che molte aziende stanno riallocando il loro portafoglio in paesi che comportano meno rischi”.
Ma non è affatto scontato che l’opportunità si concretizzi in un contesto globale in cui si moltiplicano le barriere commerciali: “In un solo anno sono nati 2.500 nuovi vincoli e nuovi dazi”, ha osservato Salzano ricordando che oltre un terzo del pil dell’Italia è fondato sulle esportazioni. Il punto che il presidente di Simest ha voluto evidenziare è che è interesse dell’Italia trovarsi al centro di un nuovo assetto globale in termini di produzione, ma questo non deve far dimenticare che per il paese e i suoi porti è fondamentale essere incluso nelle nuove rotte commerciali cosa che con la crisi di Suez non sta avvenendo. “L’Italia non può chiudersi in un ambito ristretto perché non può fare a meno dell’export”, ha precisato. In conclusione, il “friendshoring” va bene ma senza dimenticare che il pil dell’Italia dipende in buona parte dalle vendite all’estero e dalla vocazione internazionale delle sue imprese.