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Lacrime sulla spesa. Le diverse reazioni di Francia e Italia all'extradeficit

Luciano Capone

Parigi sotto choc e Macron sotto accusa per il deficit superiore alle previsioni dello 0,6%. A Roma, invece, la reazione di Meloni e delle opposizione al buco di bilancio del 2% è stata l'indifferenza: nessuno ne parla. Intanto il governo approva un'altra stretta sul Superbonus

Quando il primo marzo l’Istat ha comunicato un peggioramento del deficit di quasi 2 punti di pil (1,9% per la precisione), in Italia non è successo nulla. In Francia, invece, per qualcosa di analogo – sebbene in misura inferiore – si è scatenato un mezzo terremoto politico, tra piani d’emergenza del governo e accuse delle opposizioni.

Ieri l’Insee, ovvero l’Istituto nazionale di statistica francese, nella sua certificazione dei conti nazionali analoga a quella fatta dall’Istat a inizio mese per l’Italia, ha comunicato che il deficit della Francia nel 2023 è stato del 5,5% del pil. Non solo in aumento rispetto al 4,8% del 2022, ma soprattutto di 0,6 punti superiore alle previsioni del governo (4,9%): “Questo dato segna un peggioramento di 15,8 miliardi rispetto alle ultime previsioni”, ha dichiarato Thomas Cazenave, ministro delegato al Bilancio.

La notizia era nell’aria da un po’ di tempo, in un certo senso anticipata dal ministro delle Finanze Bruno Le Maire, che a inizio mese aveva preannunciato un piano di tagli da 10 miliardi. Ma i dati dell’Insee hanno mostrato un quadro peggiore, a causa di mancate entrate fiscali per oltre 20 miliardi di euro per via di un calo dell’inflazione più rapido del previsto. Il debito pubblico francese scende al 110,6% dopo il 111,9% del 2022, ma meno delle attese. E, soprattutto, si complica il piano di aggiustamento fiscale che prevede un rientro al 3% di deficit nel 2027 e il pareggio di bilancio nel 2032: vuol dire una correzione di circa 50 miliardi di euro entro il 2027. Dopo la notizia in mattinata, Le Maire ha parlato alla nazione in radio per affermare che la sua “determinazione a risanare le finanze pubbliche e a tornare al di sotto del 3% di deficit nel 2027 è intatta”, ma al contempo si è detto “totalmente contrario a qualsiasi aumento delle tasse sui nostri connazionali che già pagano tasse elevate”. Non resta che tagliare le spese, insomma.

 

Le opposizioni sono sul piede di guerra. La destra moderata dei Républicains, ad esempio, ha accusato il presidente Emmanuel Macron di portare la Francia “sulla stessa strada della Grecia”. La settimana scorsa, dopo che erano filtrate le prime notizie di stampa su un buco di bilancio, il relatore della commissione Finanze del Senato, Jean-François Husson (Républicains), si è recato a Bercy – sede del ministero delle Finanze – per un controllo documentale sul posto dei conti pubblici. L’irruzione al ministero, con tanto di controllo di carte e appunti, ha avuto l’obiettivo di denunciare uno sforamento senza precedenti, con un livello di deficit mai raggiunto nei decenni recenti al di fuori di una recessione.

L’opposizione, insomma, si chiede come il governo abbia potuto commettere un errore di circa 20 miliardi sulla traiettoria di bilancio: “L’evidente mancanza di informazioni a disposizione del Parlamento testimonia ancora una volta il disprezzo al quale è sottoposto da parte del governo”. Le altre opposizioni sono ancora più dure, con la sinistra di Mélenchon che chiede di tassare i ricchi per riequilibrare il disavanzo.

Sul tema è intervenuto anche Pierre Moscovici, ex Commissario europeo per gli Affari economici ed ex ministro delle Finanze francese, che ora è il presidente della Corte dei conti. Moscovici ha definito lo scostamento “significativo” e “molto, molto raro” e sebbene “non c’è stata alcuna volontà di ingannare” da parte dell’esecutivo, il presidente della Corte dei conti ha detto che è il momento di aggiustare i conti e “dire la verità ai francesi sulla nostra spesa pubblica”.

La situazione è preoccupante, non solo perché lo sforamento costringe a rivedere la politica di bilancio, ma perché è un brutto colpo d’immagine per la Francia che attende il giudizio delle agenzie di rating, sebbene per ora non ci siano scossoni sui mercati finanziari. Ma già la scorsa settimana, Macron aveva convocato una sorta di “tavolo di crisi” all’Eliseo, riunendo a cena i leader delle forze di maggioranza per discutere dello stato delle finanze pubbliche.

 

Lo stato di agitazione politica a Parigi cozza con la quiete assoluta con cui a Roma è stato accolto lo sfondamento dei conti pubblici da Superbonus. Il primo marzo, dicevamo, l’Istat ha certificato un deterioramento del bilancio di oltre 40 miliardi di euro, pari a circa 2 punti di pil. Si tratta di un dato che rispetto alla revisione dei conti in Francia è oltre il doppio in valore assoluto e oltre il triplo in rapporto al pil. Senza considerare che se il deficit francese è salito al 5,5%, quello italiano è arrivato al 7,2% (quasi due punti sopra). E non è detto che sia finita perché, come scrivevamo ieri sul Foglio, al ministero dell’Economia, rifacendo i calcoli per la preparazione del Def, continuano a saltare fuori altri miliardi di crediti edilizi. Quindi il deficit del 2023 potrebbe essere ulteriormente rivisto al rialzo.

Ma rispetto al turbamento che si vive a Parigi, qui a Roma la voragine senza precedenti nei conti pubblici viene accolta con un misto di naturalezza e rassegnazione. Se Bruno Le Maire corre in radio a spiegare, conti alla mano, quanto è grande questo buco e come intende rimettere in sesto le finanze, a Giancarlo Giorgetti basta emettere un comunicato di poche righe, senza un numero, in cui in sostanza si dice che è tutta colpa “dell’eredità del Superbonus”. Giorgetti ha avuto il merito di denunciare subito, con decisione, l’insensatezza del bonus edilizio al 110%, ma la falla nei conti si sia aperta sotto la sua gestione.

Dal canto suo l’opposizione in un mese non ha neppure preteso chiarimenti dal ministro dell’Economia. Se in Francia la minoranza fa fisicamente irruzione a Bercy, in Italia non ha neppure fatto un colpo di telefono a Via XX Settembre. A nessuno interessa davvero sapere come si è originata questa voragine nei conti pubblici, quanto è grande e se si sta ancora allargando. D’altronde il Pd, il principale partito di opposizione, è convinto – lo ha scritto in un documento ufficiale sugli incentivi per l’edilizia – che il Superbonus “non genera debito”.

 

Il paese sembra così inconsapevole della gravità del problema. Ieri il Consiglio dei ministri ha approvato un nuovo decreto sul Superbonus, che non era all’ordine del giorno, con lo scopo di arginare una spesa ormai fuori controllo.  È forse il caso che la premier Giorgia Meloni e il ministro Giorgetti facciano un’operazione di verità e trasparenza.

 

  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali