Tre choc e un sentiero stretto. L'Europa secondo l'Economist
L'economia europea deve affrontare tre crisi: energetica (Putin), import a basso costo dalla Cina (Xi Jinping), possibile stretta sull'export verso gli Usa (Trump). La via d'uscita, fatta di una politica moderatamente espansiva e anti-protezionista, è tutt'altro che semplice
Le elezioni europee si avvicinano e in Italia, come al solito, si discute quasi esclusivamente delle ricadute politiche interne: tenuta del consenso di Giorgia Meloni, prima prova elettorale di Elly Schlein, test della leadership di Matteo Salvini nella Lega, alleanze, candidature e altro. Si parla poco, invece, dei problemi e del futuro dell’Unione europea, a partire dall’economia che in quest’ultimo decennio è cresciuta la metà degli Stati Uniti (4% contro 8%).
Secondo l’Economist il Vecchio continente deve affrontare tre choc: la crisi energetica successivo all’invasione russa dell’Ucraina, l’ondata di importazioni dalla Cina di prodotti manifatturieri a basso costo e, infine, il rischio che a fine anno negli Stati Uniti Donald Trump vinca le elezioni presidenziali imponendo un nuovo round di dazi sulle esportazioni europee. Questo triplo choc si innesta su una situazione di per sé già complicata per l’Europa. Il Vecchio continente deve far fronte ai costi della transizione energetica e, sempre a causa della politica imperialista e militarista di Vladimir Putin, ha bisogno di investire maggiori risorse nella difesa, soprattutto se un’eventuale vittoria di Trump può portare a un disimpegno americano dalla Nato e dal fronte europeo.
Ma la crescita economica necessaria a finanziare queste spese langue, per via dell’invecchiamento della popolazione, di un’integrazione incompleta dei mercati (si pensi solo a quello dei capitali) e per un’attenzione maggiore alla regolamentazione rispetto all’innovazione. Questo stato di insoddisfazione, per giunta, spinge gli elettori a votare partiti di estrema destra che portano avanti un’agenda di chiusura che aggraverebbe i problemi.
Il primo choc, quello energetico, è quasi superato: i prezzi dell’energia, in particolare del gas, sono tornati alla normalità e comunque lontanissimi dai picchi di due anni fa. È in corso lo choc delle importazioni dalla Cina che, sussidiando l’industria manifatturiera, può dare enormi problemi alla vecchia industria europea in settori come l’automotive e, più in generale, legati alla transizione energetica (batterie, auto elettriche, pannelli solari, etc.). Il terzo choc potrebbe aggiungersi presto: la probabile vittoria di Trump potrebbe portare addirittura a un dazio del 10% su tutte le importazioni, che colpirebbe notevolmente l’Europa che ha un export di 500 miliardi verso gli Stati Uniti. Come se ne esce?
Secondo il settimanale britannico, la via d’uscita è complicata e “disseminata di trappole”. Un errore da evitare è di mantenere una politica monetaria troppo restrittiva: mentre l’inflazione scende, la Bce potrebbe dare ossigeno all’economia tagliando i tassi lasciando che anche le importazioni dalla Cina contribuiscano a raffreddare l’inflazione. L’altro errore da evitare è imbarcarsi in una guerra protezionista, fatta di dazi e sussidi, contro Stati Uniti e Cina, in cui l’Europa avrebbe solo da perderci: “Il commercio rende le economie più ricche anche quando i loro partner commerciali sono protezionisti”. Ciò che invece l’Europa dovrebbe fare è investire in ricerca, sviluppo, istruzione e infrastrutture, integrando ulteriormente i mercati e riducendo burocrazia e regolamentazione.
L’analisi dell’Economist è corretta, ma tutto indica che l’Europa si sta incamminando per un sentiero diverso. L’Italia in particolare. La politica monetaria può essere meno restrittiva solo se c’è un coordinamento con la politica fiscale, ovvero un riordino dei conti, e il nostro paese con un deficit al 7,2% spinge la Bce verso la prudenza. Quanto alle scelte strategiche, il nostro paese ha speso negli ultimi tre anni 200 miliardi di euro in bonus edilizi invece che in istruzione, ricerca, tecnologia e difesa.
Sembra paradossale – scrive il columnist Charlemagne sempre sull’Economist – che l’Unione europea abbia affidato la preparazione di due report per affrontare i suoi problemi economici proprio a due ex premier italiani, Enrico Letta e Mario Draghi. La realtà è che il nostro paese ha le caratteristiche per dare sia buoni consigli sia cattivi esempi.