L'analisi
Non c'è futuro per le imprese senza una grande battaglia sugli Its
All’Italia serve costruire un sistema di istruzione terziaria (universitaria) professionalizzante alternativo e parallelo alle università tradizionali. O l'intero sistema paese pagherà un caro prezzo
Confindustria si avvia ad avere un nuovo presidente (a cui facciamo i migliori auguri) in un quadro molto diverso da 5 anni fa. Sui temi di merito, oggi, diversamente da allora, il problema principale delle imprese non sono gli investimenti ma è trovare persone che abbiano le competenze per lavorare ai nuovi prodotti nei nuovi mercati. L’Italia, che è ancora la seconda manifattura europea, pagherà un prezzo molto alto se stenterà ancora nella costruzione di un sistema di istruzione terziaria (universitaria) professionalizzante alternativo e parallelo alle università tradizionali. Mentre altri paesi come la Francia e la Svizzera hanno iniziato vent’anni fa e ora sono al 30% di studenti iscritti nei canali professionalizzanti (la Germania che ce l’ha da sempre sta al 50%), la Spagna ha iniziato nel 2006 ed è al 10%, l’Italia soltanto non è mai riuscita a decollare.
Il sistema degli Istituti Tecnici Superiori (ITS) italiani, che sono organizzati come fondazioni di diritto pubblico-privato in cui entrano scuole, università e aziende e offrono corsi di durata biennale o triennale e un diploma di tipo universitario immediatamente spendibile nelle professioni più diverse dalla meccatronica, ICT, al navale, alla moda, al agrifood, è tuttora molto piccolo: 30mila iscritti su 1,5 milioni di universitari. Questo è uno dei non pochi casi in cui il PNRR ha permesso di fare quello che probabilmente non si sarebbe mai fatto altrimenti. Allo stesso tempo è un esempio delle difficoltà del PNRR che vanno superate per garantire continuità nel tempo agli investimenti dopo il 2026. L’investimento del PNRR è molto generoso: 1.5 miliardi per 146 ITS che ai tempi in cui quell’investimento fu deciso erano 20 di meno per un totale di 16 mila studenti iscritti.
La battaglia iniziale con l’università che voleva le lauree professionalizzanti sembra essere vinta ma rimane in sospeso la battaglia con la scuola: il ministero dell’istruzione deve avere perlomeno una direzione dedicata ai soli ITS; è necessaria la sperimentazione del 4 + 2 che lega indissolubilmente negli stessi edifici le scuole tecniche e professionali (di 4 anni come nella maggioranza dei paesi europei) e gli ITS (di 2 anni). Va vinta la resistenza dei sindacati della scuola che ancora ritengono la scuola non possa essere mischiata all’azienda: è necessario che gli ITS si appoggino alle scuole superiori perché altrimenti non hanno una fonte sicura di studenti (molto spesso l’alternativa non è tra fare l’università o ITS, l’alternativa è tra università o nulla: la percentuale di studenti superiori che si iscrive all’università sta sotto il 50% al netto degli abbandoni). Quali sono i problemi del PNRR sugli ITS? Alcune regioni non hanno grandi imprese o distretti industriali che possano guidare la costruzione di fondazioni ITS e quindi beneficerebbero molto di una formazione su commissione come avviene in tanti altri paesi.
Da noi l’ambiente sarebbe anche del tutto favorevole perché i fondi interprofessionali già lavorano con una formazione su commissione e già potrebbero utilmente inserirsi nelle fondazioni ITS. Bisogna che siano coinvolte in maniera maggiore le associazioni di categoria anche dei servizi e non solo industriali visto che molte delle specializzazioni italiane riguardano ormai i servizi. I 1,5 miliardi iniziali non sono troppi ma vanno spesi in poco tempo per costruire un sistema che deve stare in piedi da solo dopo il 2026. Oggi il sistema ITS riceve circa 50 milioni annui dallo stato e più di 100 milioni dalle regioni. Servono dunque una decina di corsi per ognuno dei 150 ITS, ogni corso costa 300 mila euro l’anno, il finanziamento annuo deve quindi quasi triplicare a 450 milioni annui dopo il 2026. Ma quale paese può ritenere troppo 450 milioni di euro annui per un sistema di istruzione professionalizzante che aiuta a tenere in piedi l’industria italiana?