Risparmiatori e debitori
Giorgetti affronta i gestori del risparmio nazionale a cui ha "tolto" 50 miliardi con i Btp
Il ministro dell'Economia ha partecipato al Salone del risparmio di Milano. Ma il confronto è stato piuttosto freddo e il motivo è la linea del governo sui titoli di stato: i Btp fanno concorrenza al risparmio gestito (e alla crescita)
È consuetudine che il ministro dell’Economia intervenga al Salone del risparmio a Milano, evento che, per le sue dimensioni, non ha pari in Europa rappresentando di riflesso il primato detenuto dall’Italia nella ricchezza privata. Il patrimonio gestito da operatori professionali è arrivato a fine febbraio a 2340 miliardi. “Un ammontare ben superiore al prodotto interno lordo del paese”, ha osservato il ministro Giancarlo Giorgetti, intervenendo da remoto nel giorno dell’approvazione del Def. Quest’anno Giorgetti era molto atteso dalla sala gremitissima di gestori patrimoniali che stanno facendo i conti con la fuga dei risparmiatori verso i titoli di stato. Ammonta a 50 miliardi, infatti, il “rosso” nella raccolta registrato nel 2023 che è seguito al sensibile calo del 2022 rispetto al 2021 (da 93 a 14 miliardi).
Il saldo negativo è stato causato dai deflussi verso i Btp, prima dai conti correnti e poi, come ha spiegato il presidente di Assogestioni, Carlo Trabattoni, anche dai prodotti di risparmio che sono stati disinvestiti. In pratica, di fronte alla raffica di emissioni da parte del Mef negli ultimi due anni, le famiglie hanno prima attinto alla liquidità sui conti e poi sono corsi a vendere polizze e fondi d’investimento. Troppo ghiotta l’occasione di acchiappare i rendimenti “sicuri” offerti dallo stato attraverso una campagna di comunicazione massiccia e stile nazional-popolare (emblematico lo spot tv sul Btp Valore per andare in crociera).
Così, il confronto di Giorgetti con l’industria del risparmio gestito è risultato tutto sommato freddo, anche se non si può dire che il ritorno dei “bot people” abbia colto di sorpresa questo mondo visto che, da quando si è insediato, il governo Meloni ha sempre dichiarato di voler aumentare la quota di debito pubblico in mano alle famiglie diventando, di fatto, un concorrente. Se, infatti, “avvicinare gli italiani al risparmio gestito è un tema strategico per il paese”, come ha ricordato Trabattoni, altrettanto strategico è per il Mef cercare di ridurre l’esposizione dell’Italia ai mercati finanziari, obiettivo che è stato perseguito con fermezza da Palazzo Chigi: la quota di titoli di stato detenuto da privati è, infatti, passata dal minimo storico dell’8 per cento raggiunto nel 2021 a quasi il 14-15 per cento dopo le ultime emissioni. In questo percorso, evidentemente, fondi e polizze ci hanno rimesso.
A gettare acqua sul fuoco ci ha pensato Saverio Perissinotto, amministratore delegato di Eurizon, la divisione di asset management di Intesa Sanpaolo: “I titoli stato non vanno visti come concorrenti del risparmio gestito, sono estremamente attraenti, amati dagli istituzionali e dal retail italiano ed è una nostra fortuna che sia così” ha detto il manager, aggiungendo di non credere che la discesa dei tassi Bce farà ritornare l’attenzione sul risparmio gestito e che il debito pubblico “rimane liquido e fiscalmente interessante”. In proposito, va ricordato che nei 10-12 anni in cui i tassi sono stati vicini allo zero (cioè fino a inizio 2022), i rendimenti del Btp sono stati bassissimi spingendo i risparmiatori verso prodotti di mercato. Questi ultimi, però, essendo di frequente gravati da commissioni superiori alla media europea, come più di uno studio ha fatto osservare, hanno cominciato a diventare meno attraenti, soprattutto per i piccolissimi risparmiatori, nel momento in cui all’orizzonte si sono palesati titoli di stato con rendimenti al 3-4 per cento, tassazione agevolata e commissioni zero.
Tutto questo è accaduto in un contesto di mercato in cui le Borse sono andate prima malissimo dopo lo scoppio della guerra in Ucraina e poi benissimo quando i mercati hanno cominciato a prezzare in anticipo la discesa dei tassi Bce. A ogni modo, né lo stato con le sue emissioni di titoli né l’industria privata del risparmio sono ancora riusciti a catturare i 1.500 miliardi di liquidità che permangono sui conti correnti. “Una ricchezza esposta all’inflazione mentre potrebbe diventare produttiva”, ha osservato Trabattoni di Assogestioni. Molto dipenderà da quanto il Mef intende puntare alla stesso bacino di ricchezza per consolidare la sua strategia di risparmio “sovranista” e quanto, invece, proverà a instaurare un dialogo concreto con Assogestioni e l’industria del risparmio per incanalare queste risorse verso la crescita economica del paese, un po’ com’è accaduto in passato con i Pir.