La pagella
Fare i conti sul Salone: conservare la leadership mondiale non è una passeggiata
L’industria del Design si sta spezzando in due e non tutto quel che luccica è ancora oro. L'analisi dell'Area Studi Mediobanca rivela tanti problemi: occorre innovare
Si apre il Salone del Mobile di Milano all’insegna della competizione tra esperienza e prodotto. Il Fuorisalone che invade la città con una profusione di mezzi impiegati rischia di fare la parte del leone al confronto del nocciolo duro “industriale”, relegato a Rho e costretto a fare i conti con i mercati, la tecnologia, la produttività, le persone che non si trovano. Con la dura realtà della sopravvivenza industriale, per farla breve. Il Fuorisalone invece non vuole pensieri, è libero e bello, attrae turisti, dispensa aperitivi a go-go, riluce con le sue installazioni e le sue archistar, occupa l’immaginario dei turisti a naso in su e nella sostanza ha vita facile. Regala esperienze e vince comunque. Basta invece scorrere l’analisi pubblicata proprio ieri dall’Area Studi Mediobanca per rendersi conto dei tanti problemi che angustiano l’industria del design, l’avamposto italo-milanese del made in Italy. I ricercatori di piazzetta Cuccia hanno sottoposto ad analisti le risposte di un ampio campione di 330 imprese dei settori del mobile e dell’illuminazione con fatturato superiore ai 10 milioni. La conclusione a cui si arriva è che non si può vivere di rendita e invece occorre innovare, ma la maggioranza delle imprese ritiene come la mancanza di personale competente sia il principale ostacolo su questo cammino, il futuro insomma non è assicurato. Il made in Italy non riesce a rigenerare la forza lavoro che serve a perpetuare il business e soprattutto a rinnovare il vantaggio competitivo nazionale in un’arena in cui i concorrenti non restano certo con le mani in mano. E conservare la leadership mondiale non è una passeggiata. Non bastano le esperienze.
Ma riprendiamo l’analisi Mediobanca dall’inizio anche perché ne vale la pena. Il 2023 non è stato un anno di grazia, tutt’altro. Il campione preso in esame denuncia un calo di fatturato del 2,8 per cento sul 2022, segnato da una diminuzione delle esportazioni del 3,5 per cento e da una discesa dell’1 per cento del mercato interno. Il guaio è anche che il 57,8 per cento delle aziende ha visto ridursi i suoi margini industriali e quasi una su due ha trovato difficoltà a reperire i profili professionali giusti. E’ interessante sottolineare come il 44,4 per cento delle imprese non abbia potuto utilizzare a pieno la propria capacità produttiva a causa del ridotto potere d’acquisto della clientela e della domanda debole e la stessa percentuale lamenta l’inasprimento della concorrenza di prezzo. Non preoccupa invece la competizione sulla qualità (se ne cruccia solo il 4,4 per cento) che resta prerogativa dei nostri produttori. La conclusione che viene fuori da questi dati è abbastanza lineare: si sta accentuando all’interno del sistema del design italiano una polarizzazione tra i produttori di fascia alta (che hanno chiuso in positivo anche il 2023) e chi rivolge al mass market. I primi trovano clientela e non hanno problemi di prezzo, i secondi faticano con l’una e con gli altri. Questa divaricazione si farà sentire maggiormente nel 2024. Infatti le imprese che operano nell’alto di gamma possono dirsi, con un certo orgoglio, fiduciose nella misura del 68 per cento, mentre le altre imprese lo sono solo nel 48 per cento dei casi. Una su due.
Solo un’azienda su 10 del campione Mediobanca ha siti produttivi all’estero e siamo sempre nel campo dei player della fascia alta. Il 60 per cento delle aziende lamenta la difficoltà di assumere personale manageriale affidabile in loco e il 40 per cento punta l’indice contro l’eccessiva burocrazia. Complessivamente le aziende del design made in Italy esportano il 55 per cento del loro fatturato e i mercati principali sono tutti occidentalissimi: Ue a 27, America del Nord e Regno Unito in ordine di graduatoria. Meno di uno su tre ha una rete di vendita proprietaria, gli altri si affidano a reseller finali specializzati o importatori multimarca.
Chiudiamo con il giudizio dell’Area Studi Mediobanca sul tasso di innovazione dell’industria italiana del mobile e dell’arredo. Il principale investimento in innovazione resta quello tradizionale dei macchinari, il 56,7 per cento ribadisce che non si trova personale competente e il 53,3 per cento sostiene che gli investimenti in attività innovative comporta costi troppo elevati e dall’esito incerto. Applicando un sistema di rating sviluppato da Mediobanca con Google è possibile però misurare la maturità digitale delle aziende in esame. Dare la pagella. E qui il risultato non è particolarmente confortante: nel campione usato per la ricerca il 44 per cento delle imprese è considerato “esordiente” ovvero in una fase iniziale del processo di digitalizzazione, il 50 per cento è catalogato come “sperimentatrici” ovvero con una visione digitale delineata ma che potrebbero sfruttare meglio le opportunità offerte dalla tecnologia. Il guaio è che solo il 6 per cento del campione è composto da "aziende innovatrici”, con una solida infrastruttura digitale, processi organizzativi innovativi e una forza lavoro digitalmente qualificata.