La terrificante banalità di Mef e Rgs sul disastro Superbonus
"Adesso, con le nuove regole Ue, bisogna tenere conto della sostenibilità finanziaria". Le parole sul Superbonus del dg delle Finanze Spalletta, dopo quelle del Ragioniere Mazzotta, dimostrano la necessità del “vincolo esterno” per l'Italia
Ascoltando le parole di Giovanni Spalletta, direttore del dipartimento Finanze del Mef, si comprende facilmente che il Superbonus era un disastro annunciato e prevedibile. Soprattutto da parte delle strutture tecniche che hanno aiutato i governi nel disegno della misura e ne hanno stimato i costi, sbagliando clamorosamente su entrambi i fronti.
In audizione alla commissione Finanze del Senato, martedì, Spalletta ha segnalato le criticità del “design” del bonus al 110 per cento:
i) “combiando aliquote forse (sic!) eccessivamente generose” con
ii) “la possibilità di cedere il credito” e iii) “in assenza di alcuna procedura di autorizzazione”, la misura ha
iv) reso difficile un “monitoraggio in itinere”.
Tutto questo, in sintesi, ha fatto perdere il conteggio ed esplodere la spesa oltre ogni previsione. “Nei fatti – dice il dg delle Finanze – è stato possibile tracciare l’effettiva dinamica degli interventi solo a consuntivo”, scoprendo così che la spesa è stata superiore alle stime per quasi 150 miliardi di euro.
Nel febbraio 2023, sempre in audizione al Senato, Spalletta diceva che secondo le stime della Nadef la spesa per il Superbonus e gli altri bonus edilizi sarebbe stata di 110 miliardi di euro. Già all’epoca c’era uno “scostamento complessivo di 37,75 miliardi” rispetto alle previsioni. Un anno dopo, la spesa è raddoppiata: da 110 a 219 miliardi, con uno “scostamento” che è schizzato a 147 miliardi.
Questo è quello che già sapevamo. Il dirigente del Mef ha poi aggiunto altre considerazioni, tanto banali quanto terrificanti. “È fuori di dubbio – ha detto – che misure agevolative automatiche e senza preventiva autorizzazione non sono più compatibili con il nuovo quadro di finanza pubblica a seguito delle nuove regole di governance economica europea”. Il messaggio, rivolto al legislatore, è che il nuovo Patto di stabilità non consentirà più, da un lato per i vincoli sul deficit e dall’altro per la nuova regola della spesa, l’esistenza di bonus del genere.
Il dirigente apicale del ministero guidato da Giancarlo Giorgetti ha aggiunto che gli obiettivi di efficientamento energetico e riduzione del rischio sismico “devono adesso (sic!) tenere conto della sostenibilità finanziaria nel medio-lungo periodo e della riduzione del debito pubblico”, e pertanto bisogna rivedere le agevolazioni fiscali alla luce dell’esperienza.
Evitando cioè aliquote troppo elevate, che incentivano comportamenti opportunistici e hanno effetti devastanti sul bilancio e, in secondo luogo, trasformando i crediti d’imposta in contributi che prevedono un’autorizzazione preventiva in modo da poter monitorare la spesa. In sostanza, per avere un bonus edilizio che sia prevedibile nei suoi costi, sostenibile finanziariamente e non criminogeno sul piano delle frodi, bisogna fare l’opposto del Superbonus.
Non si capisce bene, però, perché tutte queste evidenti criticità non siano state sollevate e segnalate per tempo. Prima in fase di “disegno” del Superbonus, ma a maggior ragione dopo che è diventato operativo manifestando chiaramente i suoi vizi genetici. La risposta dei tecnici, che inevitabilmente riguarda i politici, sembra stare nel passaggio in cui Spalletta afferma che questi bonus edilizi “non sono più compatibili” con le regole europee, per cui “adesso” bisogna pensare alla sostenibilità finanziaria.
In sostanza, il vertice del Mef – il meglio cioè della burocrazia nazionale – dice che finché le regole fiscali europee erano sospese, prima per il Covid e poi per la crisi energetica, quell’andazzo poteva pure andare avanti. Ma “adesso” non più. Ricorda un’affermazione analoga di un altro massimo dirigente del Mef, il “custode dei conti” Biagio Mazzotta: “In prospettiva, dotarsi di modelli di valutazione d’impatto ex ante è fondamentale” disse il Ragioniere dello stato a maggio 2023, in audizione alla Camera, perché “Con la nuova governance, quando ripartirà il nuovo Patto di stabilità ci sarà da faticare”.
Pare che per l’Italia, un paese che ha il debito pubblico tra i più alti al mondo, tenere i conti in ordine non sia un valore in sé ma un obbligo europeo: non un vincolo di realtà, ma solo un vincolo di Bruxelles. Ed è terrificante che a dirlo siano i vertici di amministrazioni che, per missione istituzionale, devono supportare il legislatore nel disegno delle misure, nelle previsioni e nel monitoraggio della spesa, impedendogli anche (come nel caso della Ragioneria dello stato) di fare buchi di bilancio e follie fiscali.
E invece no, l’unico argine alla nostra irresponsabilità sono le regole europee. L’economista Luigi Zingales descriveva la funzione del vincolo esterno per l'Italia dell’euro con il mito di Ulisse che si fa legare all’albero della nave per non farsi attrarre dalle sirene dell’irresponsabilità fiscale. È meno evocativa di Ulisse, ma forse la metafora più realistica è quella della camicia di forza per il folle autolesionista.
tra debito e crescita