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L'analisi

Transizioni 5.0 in zona Tafazzi: ordini di macchine utensili in rosso

Dario Di Vico

L'associazione dei costruttori italiani pubblica i dati che fotografano il calo degli ordini, sia all'estero sia in Italia. Pesano le tensioni geopolitiche ma anche la politica del governo, incerta sugli incentivi

Un secco stop agli ordini di macchine utensili è un segnale non incoraggiante per gli investimenti targati 2024. E per la gestione delle transizioni digitale e ambientale. Arriva da un’associazione di categoria dei produttori, l’Ucimu-Confindustria, solitamente molto prudente nelle sue esternazioni, che stavolta se la prende con il governo. Ma andiamo per gradi: il calo degli ordini di macchinari italiani del primo trimestre dell’anno in corso è addirittura del 18,9 per cento in riferimento all’analogo periodo del 2023 e di conseguenza l’indice Ucimu, con base 100 al 2021, è precipitato a quota 77,9. Gli ordini raccolti fuori dell’Italia sono diminuiti del 18,5 per cento mentre il mercato interno ha fatto segnare un arretramento del 19,4 per cento. E in questo caso l’indice Ucimu è sceso fino a quota 55. Secondo le analisi della presidente Barbara Colombo le motivazioni del calo dell’export sono di segno prevalentemente geopolitico. L’allargamento delle tensioni in medio oriente e il prolungarsi del conflitto in Europa dell’est hanno spaventato il mercato. “Ma pesano anche le incognite legate alla transizione energetica e all’indirizzo che prenderà Bruxelles dopo l’appuntamento elettorale di giugno”. A mitigare l’ansia legata a questi risultati in Ucimu si spera nei successivi trimestri, in particolare per una possibile ripresa di ordini dagli Usa e per il contributo che possono dare mercati come Turchia, Messico e India che hanno scalato posizioni nella lista delle aree di destinazione del prodotto italiano rispetto a Russia, Spagna e Svizzera.

Ma se queste sono le ragioni (e le speranze) legate all’andamento delle esportazioni a che cosa si deve lo stop degli ordini in Italia? Per carità, già nell’ultimo trimestre del 2023 l’aumento della spesa per macchinari e impianti – registrato dall’Istat – aveva conosciuto un leggero incremento dello 0,5 per cento ma nel caso dei beni strumentali di oggi siamo entrati in territorio negativo. La risposta di Barbara Colombo è inequivocabile: il motivo principale sta nelle lungaggini di Transizione 5.0. “Il mercato interno è in stand by da troppi mesi in attesa dell’operatività dei nuovi provvedimenti per la competitività. Noi produttori continuiamo a ricevere dai clienti richieste di quotazioni di offerte per progetti anche importanti che restano però in sospeso perché manca la certezza sugli incentivi che saranno resi disponibili dal governo”. Ma non è tutto. Insiste Colombo: “La situazione attuale appare, incredibilmente, più nebulosa rispetto anche solo a un mese e mezzo fa quando fu presentato il decreto legge con l’impianto di Transizione 5.0. Su questo fronte mancano ancora i decreti attuativi. Su quello di Transizione 4.0, invece, il cambio in corsa delle regole con cui si può accedere alla misura rischia di bloccare in modo irreparabile la domanda domestica”.

Tocca al governo Meloni metter mano al più presto all’implementazione del provvedimento così da consentire alle aziende manifatturiere di deliberare i necessari investimenti in tecnologia di produzione. “Ma per le misure previste dal 5.0 – spiega Colombo – il tempo comincia a scarseggiare. L’utilizzo della misura che vuole premiare gli investimenti che abbinano la digitalizzazione al risparmio energetico ha una durata limitata. Nel rispetto delle scadenze imposte dal Pnrr, per poter usufruire dei benefici del 5.0, il termine ultimo di consegna delle macchine è al 31 dicembre 2025. Ciò significa che le regole di ingaggio, i cosiddetti decreti attuativi, devono essere disponibili a strettissimo giro altrimenti una così drastica compressione temporale tra il momento dell’ordine e quello della consegna obbligherà le nostre aziende a rinunciare a una parte consistente delle richieste del mercato”. Sarebbe incredibile, viene da aggiungere, in un momento in cui gli investimenti ristagnano e c’è tanto campo da recuperare in chiave di tecnologia ed efficienza. Anche sul “vecchio” 4.0 l’Ucimu solleva il contenzioso guardando a Roma. La decisione del governo di prevedere l’obbligo di comunicazione preventiva del valore dell’investimento e della ripartizione del credito di imposta rispetto alle quote annuali – richiesta dalla Ragioneria di stato – “ha destabilizzato il mercato” e creato diffidenza tra gli imprenditori pur decisi a investire. Del resto Transizione 5.0 – la cui dotazione finanziaria è di 6,3 miliardi – prevede un credito di imposta che può arrivare fino al 45 per cento mentre il provvedimento per il 4.0 si ferma a quota 20 per cento. E i due incentivi non possono essere cumulati. Passato il mese di aprile le speranze degli imprenditori ora si focalizzano sulla metà di maggio per avere piena disponibilità dei decreti attuativi, oltre saremmo in zona Tafazzi.

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