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Chiarimenti

La lettera sul caso Palenzona spiega cosa cambia nelle fondazioni

Stefano Cingolani

Le dimissioni dell'ex presidente della Fondazione Crt sono insieme denuncia e sfogo amaro. Le accuse dal sapore "territoriale": Palenzona è tacciato di fare il king maker nelle banche

“Bieche speculazioni sulla mia persona e sui miei collaboratori”, “maldicenze, pratiche opportunistiche”, “patti occulti”, “spartizione”: parole di fuoco balzano dalla lettera di dimissioni firmata da Fabrizio Palenzona, che ha lasciato la presidenza della Fondazione Cassa di risparmio di Torino, fatto fuori dopo solo un anno da contrasti interni, sotto lo sguardo di Stefano Lo Russo, sindaco di Torino e Alberto Cirio, presidente della regione. La lettera è una denuncia e insieme uno sfogo amaro. La fondazione Crt è azionista con l’1,9 per cento di Unicredit, seconda banca in Italia e tra le prime in Europa, e possiede anche il 2 per cento delle Generali. Inoltre ha voce in capitolo per l’elezione del presidente di Cdp. Palenzona ricorda di aver informato il ministero dell’Economia, che esercita la vigilanza sulle fondazioni bancarie, del clima e delle lotte interne che avevano come bersaglio il presidente e le sue operazioni. A quanto pare, dopo la denuncia, il ministro Giorgetti non avrebbe preso posizione, rimandando la querelle alla sua sede naturale. E forse proprio questo ha dato fuoco alle polveri.

Palenzona era diventato vicepresidente di Unicredit prima di essere allontanato da Jean Pierre Mustier e due anni fa aveva sostenuto Andrea Orcel per la guida della banca. E’ stato l’inizio di una rivincita maturata l’anno scorso quando sconfisse, per la presidenza della fondazione Crt, Giovanni Quaglia con il quale aveva militato nella Dc. Ma presto i rapporti si erano logorati. Il “patto occulto” datato 19 aprile che Il Foglio ha consultato, è coordinato da Corrado Bonadeo, considerato fino ad allora un fedelissimo di Palenzona e ha come scopo di guidare l’elezione del Consiglio di indirizzo della fondazione. Si tratta di una scrittura privata valida per tutta la durata della carica di consigliere rivestita da ciascuno dei 13 componenti del gruppo “La Fondazione di domani”. “Le Parti – è scritto – ciascuna per quanto di propria competenza, per tutto il periodo di validità della Scrittura Privata, si impegnano a consultarsi reciprocamente, prima di ogni riunione del Consiglio di Indirizzo della Fondazione, al fine di individuare gli orientamenti comuni da esprimere in seno all’organo di indirizzo sugli argomenti di volta in volta in discussione”. Bonadeo viene nominato “portavoce” presso la presidenza e “agirà in confronto e raccordo con Antonello Monti” portavoce presso il consiglio di amministrazione. Proprio Monti insieme ai consiglieri Davide Canavesio e Anna Maria Di Mascio, venerdì scorso ha messo in minoranza Palenzona revocando il segretario generale Andrea Varese che il presidente aveva chiamato a sostituire Massimo Lapucci.

Era la prova generale per il ribaltone di lunedì, quando tutto il consiglio ha fatto le nomine nelle partecipate mentre Palenzona abbandonava la riunione. Il patto impegna i “congiurati” a “condividere e valorizzare alcuni principi relativi alla migliore e più prudente gestione della Fondazione il tutto nell’ottica del perseguimento della stabilità della sua governance, e al contempo di un altrettanto necessario e progressivo ricambio degli amministratori, e infine di una sempre più marcata autonomia”. Tra i punti del programma c’è “la rotazione negli incarichi di consulenza”: è la “spartizione” denunciata da Palenzona. Il patto doveva restare segreto e non sarebbe decaduto se uno dei firmatari si fosse ritirato.
 
La fondazione ha un patrimonio investito di 3,6 miliardi di euro secondo l’ultimo bilancio pubblicato (2022). I conti erano stati chiusi con un avanzo di esercizio pari a 127,2 milioni di euro, il 42,6 per cento in più rispetto all’anno precedente. Giovanni Quaglia, presentando nel marzo 2023 i risultati, si era detto “orgoglioso” e intendeva ricandidarsi. Tutti pensavano che sarebbe filata liscia anche perché sostenuto dal comune e dalla regione. Invece, era arrivato il blitz di Palenzona. Le accuse rivolte all’ormai ex presidente hanno un sapore “territoriale”: passa il suo tempo lontano da Torino, si divide tra Milano dove manovra in Unicredit e Roma dove ha stretto un buon rapporto con Giovanbattista Fazzolari, sottosegretario di Palazzo Chigi e uomo di fiducia di Giorgia Meloni. Palenzona è tacciato di voler fare il king maker nelle banche, nelle Generali (l’aumento della quota al 2 per cento sarebbe stata una sua iniziativa), nelle autostrade con un progetto di accordo tra quelle del gruppo Gavio, a lui vicino, e quelle dell’Aspi. Troppe ambizioni, troppa politica. Eppure è la politica ancora una volta a essersi messa di mezzo, in barba all’autonomia, una politica a dimensione territoriale là dove il ruolo “istituzionale” delle fondazioni è più controllabile. Modello Montepaschi.

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