Gravi lacune
Il Superbonus ha sfasciato i conti, ma già nel 2023 il governo non ha saputo metterci una pezza
Il tema politico di non scontentare gli elettori è sempre stato presente in tutti i governi, ma accanirsi a proporre deroghe e proroghe, concesse indistintamente a tutti senza limiti di reddito è stato deleterio
E’ stato necessario un decreto alla fine di marzo 2024 per fermare l’emorragia dei conti pubblici dovuta al Superbonus. Eppure, un decreto questo governo lo aveva già fatto esattamente un anno prima, il 16 febbraio 2023. L’idea di fondo in entrambi è che bisognava bloccare la possibilità di cedere il credito di imposta acquisito con l’esecuzione dei lavori che rientrano nel Superbonus. Ma come mai a distanza di quasi un anno il governo è dovuto intervenire dopo un provvedimento che lo scorso anno sembrava aver risolto tutto? Il decreto dello scorso anno, poi convertito in legge, conteneva varie eccezioni. Quella più rilevante in termini di finanza pubblica era relativa al fatto che il divieto di cessione non riguardava le abitazioni che avevano presentato la Cila (Comunicazione di inizio lavori asseverata) prima della data di entrata in vigore del decreto (febbraio 2023). Inoltre, era stata lasciata in piedi la regola per cui ai condomini era concesso di accedere alla detrazione del 110 per cento, nel caso in cui la Cila fosse stata presentata prima del 31 dicembre 2022, senza vincoli di reddito per i singoli beneficiari e senza limite per le seconde residenze. Per avere un’idea delle cifre in gioco, si tenga conto che le abitazioni in condominio in Italia sono il 70 per cento del totale e le seconde case sono più del 26 per cento. Per le case unifamigliari il 110 era invece riconosciuto solo per tutti coloro i quali avevano effettuato lavori pari al 30 per cento del totale entro il 30 settembre del 2022 e vi era anche un limite di reddito.
Il blocco del decreto di inizio 2023 era molto blando per i condomini, Infatti praticamente tutta la spesa del 2023 riguarda i condomini. Dai dati Enea, le detrazioni maturate per il Superbonus 110 nel maggio 2023 (ultimo mese in cui può essere presentata la chiusura di lavori terminati in febbraio) risultavano essere 68 miliardi. Tuttavia, a marzo 2024 si arriva a 122 miliardi. Vi è quindi da maggio 2023 un incremento di 54 miliardi. Di questi ultimi, quasi 49 sono dovuti a edifici condominiali. Il limite di reddito vigente per le case unifamigliari ha sicuramente giocato un ruolo fondamentale nel garantire che la deroga all’utilizzo per la cessione del credito, per coloro che avevano presentato la Cila prima di febbraio, non causasse una successiva esplosione dei conti come è invece avvenuto per i condomini.
E’ evidente che il governo con una mano bloccava il Superbonus e con l’altra concedeva deroghe per non scontentare gli elettori. Per i condomini le maglie sono rimaste aperte, per di più senza limiti di reddito. Ciò ha generato una rincorsa finale a presentare la dichiarazione di chiusura lavori entro il 2023. Sulla legittimità delle chiusure presentate, tra l’altro, aleggiano molti dubbi: come è possibile un aumento di oltre 40 miliardi di deficit, quasi tutti dovuti, come dichiara il governo, a detrazioni da Superbonus da settembre a dicembre, a fronte nello stesso periodo di una crescita del pil di qualche decimale? Dove sono andati a finire i soldi spesi?
Un’altra causa della crescita della spesa per bonus edilizi è stata la ripresa delle cessioni dei crediti nella seconda metà dello scorso anno. Per riattivare i crediti incagliati è stato scelto di rendere meno stringente la responsabilità in solido tra chi cede e chi acquista il credito, nel caso questo sia falso, limitando il concorso nella violazione solo quando c’è dolo o colpa grave. Il problema è che la cessione del credito serve per far funzionare il Superbonus per chi non è capiente o non è liquido. E’ per questo che in futuro – quando sarà passata la sbornia da Superbonus ma comunque bisognerà fare qualcosa per le case green – la cessione del credito andrà sostituita con un meccanismo di trasferimenti diretti dall’Agenzia delle entrate all’operatore che fa i lavori dopo che i requisiti di ammissibilità al beneficio sono stati verificati, come avviene già oggi tra Gse e gli operatori che fanno i lavori di efficientamento sugli edifici pubblici. I trasferimenti poi devono essere tarati in modo da essere inversamente proporzionali al reddito di chi ne usufruisce.
Il tema politico di non scontentare gli elettori è sempre stato presente in tutti i governi, ma accanirsi a proporre deroghe e proroghe, concesse indistintamente a tutti senza limiti di reddito, come hanno fatto alcuni partiti della maggioranza fino a fine 2023 è stato deleterio.
Sono le deroghe e le modifiche, senza alcun tipo di filtro, ai tentativi di stringere le maglie dell’agevolazione edilizia da parte del centrodestra ad aver mandato fuori controllo la spesa, facendola esplodere a cavallo tra la fine dello scorso anno e la prima parte di quello in corso.
Il Parlamento è sempre riuscito ad ammorbidire i decreti di tutti i governi che hanno cercato di rallentare il Superbonus, ma quest’anno evidentemente ci è riuscito di più. Il dipartimento finanza fa le stime di costo e la Ragioneria alla fine ha sempre bollinato tutto quello che il governo e il Parlamento chiedeva ma rimane il mistero perché non siano aumentate di molto le stime di costo quando era evidente che la fine della misura era vicina e sarebbe iniziata la rincorsa per sfruttare l’ultimo treno. Forse il desiderio di vedere la fine del tunnel era maggiore del dovere di rappresentare stime di costo così alte che avrebbero dissuaso anche il più volenteroso dei governi dal procedere.