Fare meglio per l'Europa
Come far crescere le imprese europee? Le proposte di Draghi e Letta
Per i due ex presidenti del Consiglio l'Europa ha meno grandi imprese rispetto a Stati Uniti, Cina e India a causa della minore dimensione dei mercati di sbocco. Idee future per lo sviluppo economico dell'Ue
Due temi strettamente collegati tra loro sono al centro delle recenti analisi sullo stato dell’economia europea: quello più recente degli investimenti necessari per sostenere la transizione energetica e tecnologica e quello, ormai consueto, della dimensione delle imprese. Nel suo rapporto sul futuro del mercato unico, Enrico Letta ha dedicato l’intero secondo capitolo alla necessità di accrescere la dimensione delle imprese europee per poter “giocare in grande”, anche nella transizione energetica. Mario Draghi, nel suo discorso a La Hulpe, ci ha ricordato che soltanto quattro imprese tecnologiche europee sono tra i primi 50 gruppi al mondo, e ha anticipato che la scalabilità dei progetti sarà uno dei tre filoni conduttori delle proposte contenute nel suo rapporto sulla competitività dell’Europa, che verrà pubblicato a giugno.
Il tema della dimensione delle imprese è da sempre oggetto di un acceso dibattitto, soprattutto in Italia. Fortunatamente, anche nel nostro paese pare si sia finalmente raggiunta la consapevolezza che piccolo non è bello, fatta salva qualche fortunata eccezione, non necessariamente destinata a durare nel tempo. È infatti sempre più riconosciuto quanto appariva da tempo chiaro in tutti le analisi scientifiche: le imprese più grandi sono più produttive, sopportano meglio gli shocks esterni, investono di più in ricerca e possono giocare alla pari con fornitori e acquirenti senza subirne il potere di mercato.
Perché l’Europa ha meno imprese grandi degli altri grandi blocchi economici del mondo, degli Stati Uniti, della Cina, dell’India? La risposta di Draghi e Letta è che questo dipende dalla minore dimensione dei mercati di sbocco. Creare un nuovo prodotto per un ricco mercato di 300 milioni di individui, oppure per uno meno ricco ma con più di un miliardo di potenziali clienti, offre all’impresa che lo produce opportunità di crescita ben maggiori che se il nuovo prodotto viene offerto a poche decine di milioni di individui. Presa nel suo insieme, l’Unione europea ha una dimensione economica paragonabile a quella degli altri grandi blocchi, ma al momento non è veramente un unico mercato. Da qui, l’assenza di incentivi e spazi per le imprese europee per diventare grandi come quelle americane, cinesi o indiane. Realizzare un vero mercato unico europeo, integrato ed egualmente accessibile per tutti, favorirebbe la crescita dimensionale delle imprese, facendole diventare veramente competitive su scala mondiale.
Ma quali sono le barriere residue tra i paesi dell’Unione europea? Purtroppo sono tante e coprono molti aspetti, da quelli regolamentari a quelli istituzionali, da quelli finanziari a quelli culturali. Gli aspetti regolamentari sono i più ovvi. Ancora oggi esistono forti differenze normative tra i paesi dell’Unione europea, che spaziano dalla tutela dei consumatori, degli azionisti e degli investitori, alle regole fiscali, a quelle di governance, di bilancio e fallimentari. Le imprese europee possono oggi produrre e vendere liberamente in tutta l’Unione, ma devono essere incorporate in uno degli stati membri e sono quindi soggette alle leggi di quello stato. Enrico Letta riprende la proposta di creare un regime societario europeo, definito in base a regole comuni, che le imprese dell’Unione potrebbero adottare in alternativa alle regole di una specifica nazione. Sarebbe un passo importante per superare una prima barriera alla realizzazione di un mercato veramente unico. La seconda barriera è la carenza di coordinamento istituzionale tra governi nazionali, una critica con la quale si apre il discorso di Draghi a La Hulpe: in Europa i governi si sono preoccupati di competitività – soprattutto nel confronto con i partner dell’Unione – invece che di produttività, e lo hanno fatto con politiche economiche attente a obiettivi interni invece che al comune interesse europeo. La soluzione non può che essere un rafforzamento delle politiche economiche comuni. Il passo compiuto con il Next Generation EU è stato importante, ma non dobbiamo dimenticare che ancora oggi la maggior parte del bilancio dell’Unione finanzia le politiche agricole. Molto di più si può fare per fornire beni pubblici europei e per realizzare politiche economiche e industriali comuni europee. La terza barriera è finanziaria. Le risorse per realizzare gli investimenti necessari sono ingenti. Ma il problema non è il loro ammontare, perché il livello dei risparmi in Europa è elevato, quanto la capacità del sistema finanziario di indirizzarle nella direzione necessaria. Anche in ambito finanziario le differenze regolamentari tra i paesi dell’Unione sono rilevanti. La proposta di Enrico Letta di armonizzare la regolamentazione dei mercati finanziari rafforzando le autorità europee e attribuendo loro un ruolo di coordinamento delle autorità nazionali, come è stato fatto con il sistema di sorveglianza unico sulle banche, va in questa direzione. E farebbe anche da complemento alla creazione del regime societario europeo ricordato sopra. Parallelamente, finanziare parte delle politiche comuni con l’emissione di titoli europei permetterebbe di creare un mercato ampio e liquido per un titolo privo di rischio denominato in euro, una condizione essenziale per la crescita anche del mercato dei titoli privati, come ha ricordato Fabio Panetta nella Lectio Magistralis in occasione della conferimento della laurea honoris causa in Scienze giuridiche banca e finanza a Roma Tre lo scorso 23 aprile. La strada non è però facile, se è vero che interessi nazionali divergenti hanno sin qui impedito il completamento del progetto dell’unione bancaria, un altro pilastro per la realizzazione di un mercato unico dei capitali.
Regole, politiche economiche e mercati finanziari sono però le condizioni di contesto. Resta infatti da capire se le imprese nazionali dei diversi paesi europei hanno veramente voglia di diventare grandi. In Europa esistono già numerosissime imprese nazionali e soltanto la loro aggregazione può portare alla creazione di grandi gruppi europei, capaci di competere alla pari sui mercati mondiali. Perché questo sia possibile occorre superare soprattutto un problema culturale: aggregarsi significa cedere quote di controllo, confrontarsi, condividere decisioni aziendali con soci che magari parlano una lingua diversa dalla nostra. Le barriere culturali sono le più difficili da superare. In attesa che questi temi inizino a occupare lo spazio della prossima campagna per le elezioni europee, speriamo almeno che i figli dei nostri imprenditori partecipino sempre più spesso ai programmi Erasmus.
Alberto Pozzolo, Università Roma Tre